Il patrimonio culturale subacqueo rappresenta un autentico museo sommerso. Esso riporta la testimonianza storica, diretta, unica e da salvaguardare, di mondi antichi.
Relitti di epoca romana, resti di antiche città sommerse, cumuli di anfore, reperti delle grandi guerre mondiali del secolo scorso, ma anche di quelle, più circoscritte ma non per questo meno sanguinose, risalenti ai secoli prima di Cristo, come la Prima guerra punica: il tesoro sotto i mari, quell’altro mondo in cui si agitano altre vite, altre differenze, altre gerarchie, per dirla con Franco Cassano, non smette mai di sorprenderci da quando, a partire dalla seconda metà del Novecento, ha preso finalmente forma e si è consolidata la sensibilità verso il patrimonio culturale che giace sui fondali marini.
Uno sterminato museo sommerso ricco di testimonianze aventi valore di civiltà, come migliaia di libri che attendono di essere ritrovati sul fondo dei mari, dei laghi, dei fiumi, che oggi è possibile scoprire e tutelare grazie a professionalità rodate e azioni organizzate e ai progressi della tecnica nel campo dell’immersione.
Sorprendenti rinvenimenti sul fondo dei nostri mari
Evoluzioni tecniche che nel corso degli ultimi decenni hanno permesso stupefacenti scoperte anche nei mari d’Italia, tra i più colmi di beni data la loro posizione strategica, al centro delle rotte del Mediterraneo; le ultime in ordine di tempo riguardano il rinvenimento di un relitto ellenico nel canale di Otranto i cui reperti – tra ceramiche e anfore corinzie – sono stati datati attorno alla prima metà del VII secolo a.C., al tempo della seconda fase della colonizzazione greca del Sud Italia, e quella di nove cannoni, un’ancora e una preziosissima campana in bronzo provenienti da una imbarcazione – già soprannominata il Relitto della campana – naufragata al largo di Isola Capo Rizzuto (Crotone) in un periodo ancora non specificato che va tra il XVII-XIX secolo.
Nuovi eccezionali rinvenimenti che, come sostiene il ministero della Cultura Dario Franceschini, confermano la “necessità di potenziare l’investimento sull’archeologia subacquea”. Un settore da tutelare, valorizzare e far conoscere a tutti: parole di Barbara Davidde, soprintendente per i beni culturali subacquei, in una recente intervista al Sole 24 Ore.

Tra Ionio, Tirreno e Adriatico, la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo
La Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo è un ufficio dotato di autonomia speciale di livello dirigenziale non generale formatosi il 2 dicembre 2019 con la riorganizzazione del MiBACT (mutato poi in MiC, ministero della Cultura, a seguito del decreto legge 22/2021 del marzo scorso).
La Soprintendenza, con sede a Taranto, cura lo svolgimento delle attività di tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale rinvenuto sui fondali sottomarini fino a dodici miglia marine dalla costa (acque territoriali) ai sensi dell’articolo 94 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
L’ufficio ha centri operativi anche sul Tirreno e sull’Adriatico, presso le Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio di Napoli e Venezia, e unisce finalmente in un unico ufficio le singole soprintendenze archeologiche regionali che finora avevano curato autonomamente sia il patrimonio terrestre sia quello sommerso – in taluni casi con antesignani nuclei di archeologia subacquea, come ad esempio per l’essenziale attività svolta negli anni dalla Soprintendenza del mare della Regione Sicilia, istituita nel 2004 dall’indimenticabile archeologo Sebastiano Tusa.
La Convenzione UNESCO del 2001
Il parco archeologico sommerso di Baia – iconico sito dei Campi Flegrei inghiottito dal mare a causa del bradisismo –, i relitti e rostri romani e cartaginesi al largo delle Egadi, il giacimento delle navi di San Rossore, il Relitto di Albenga e quelli di Gela: il patrimonio sommerso italiano è di straordinario valore.
Nella Penisola, la tutela di questo speciale patrimonio è esercitata in conformità alla Convenzione UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo adottata a Parigi il 2 novembre 2001, nel corso della quale l’Italia, una delle sessantatré nazioni che sinora hanno siglata la convenzione, ha avuto un ruolo predominante. Il suo fine è quello di salvaguardare l’immenso e inestimabile, fragile e prezioso patrimonio sottomarino – con soluzione preferibile quella della conservazione del bene in situ, cioè nel luogo di ritrovo, qualora non si evidenzino criticità per l’integrità dell’oggetto rinvenuto – e, inoltre, di proteggerlo dallo sfruttamento commerciale illegale, vale a dire dalle attività di sciacallaggio da parte di mercanti d’arte e “cacciatori di tesori” che si sono purtroppo susseguite nel corso dei decenni precedenti alla stipula dell’accordo.

La parola d’ordine è salvaguardare il patrimonio subacqueo, scoperto o ancora da scoprire. Delle stime sostengono, infatti, che nascosti sul fondo dei mari del globo si trovino oltre tre milioni di relitti a rischio e che potrebbero in gran parte scomparire senza un oculato intervento, come accaduto nei secoli passati ai resti del faro del porto di Alessandria d’Egitto, una delle Sette meraviglie del mondo antico, crollato a causa del terremoto di Creta del 1303, e alla città portuale di Port Royal, importante centro commerciale della Giamaica del Seicento andato distrutto anch’esso a seguito di un sisma nel 1692 e oggi considerato il maggiore sito archeologico sottomarino d’Occidente.

“Chi ha roba in mare non ha nulla”, scriveva centocinquanta anni fa Giovanni Verga. Ora possiamo gridare a gran voce che il padre de I Malavoglia si sbagliava, e di molto. Il patrimonio culturale subacqueo, il più grande museo del mondo, rappresenta la testimonianza storica, diretta e unica, di mondi antichi ed è nostro dovere preservarlo, conoscerlo e valorizzarlo.
Al tuttora in grande parte inesplorato patrimonio che giace nei nostri mari è dedicata la Rassegna Internazionale di Archeologia Subacquea, promossa dal Parco archeologico Naxos Taormina e dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, giunta nell’ottobre 2021 alla diciassettesima edizione. Ospiti della manifestazione direttori di prestigiosi enti di ricerca come il Cnr, archeologi, geologi marini e documentaristi in una serie di incontri incentrati sui temi dello studio, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali.
In conclusione, per approfondire l’argomento, segnaliamo alcuni titoli: Il patrimonio culturale sommerso. Ricerche e proposte per il futuro dell’archeologia subacquea in Italia di Massimo Capulli (Forum Edizioni, 2018), Manuale pratico di archeologia subacquea di Filippo Avilia (Valtrend, 2012) e Civiltà sommerse di Graham Hancock (TEA, 2009).
Antonio Pagliuso
Relitto navale di Albenga di epoca romana denominato Relitto A – MIBAC
Foto di Gattuccio – Own work condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 3.0