Sono passati cento anni da quando Gregor Samsa si è svegliato una mattina nel suo letto, trasformato in uno scarafaggio, per l’eternità. Cosa è cambiato da allora nel mondo? Certamente, dai racconti di Franz Kafka, la letteratura non è più stata la stessa. La grandezza dell’arte kafkiana non ha mai perso la sua magia, i suoi scritti non hanno mai avuto la sconsiderata linearità – e forse anche banalità – della ricerca della felicità, ma piuttosto del “potere del canto, del lamento”.
100 anni dalla morte di Franz Kafka
Le opere di Kafka – scomparso il 3 giugno di cento anni fa – si muovono tra verità e smarrimenti, come in un gioco di specchi, mai in un ordine definito o attraverso rapporti definibili, etichettabili. La sua letteratura constata inesorabilmente che l’uomo è schiacciato, proprio come un insetto. Dalla famiglia, dalla società, da sé stesso.
Basti pensare dunque a La metamorfosi o al protagonista de Il castello, K., che si sdoppia con una forte impronta autobiografica, nella immagine speculare dell’autore stesso. Oppure a Josef K. de Il processo, anche lui vittima di vacui interrogativi sospesi sul filo delle menzogne del mondo, da cui gli eroi kafkiani usciranno stremati e sconfitti. “I mondi del Processo e del Castello sono paralleli a qualsiasi altro mondo, ma non fra loro. Anzi, sono la prosecuzione l’uno dell’altro” affermò Roberto Calasso.
Nato nella Praga austroungarica il 13 luglio 1883, Franz Kafka si è fatto portavoce di quel mondo, vissuto a cavallo tra le due guerre, un geniale precursore di un’epoca carica di angosce e smarrimento, di cui sarà maestro nello studio e nella esplorazione degli stati d’animo dell’uomo.
La scrittura come conflitto
A distanza di un secolo dalla morte, leggendo Kafka restiamo ancora intrappolati in un labirinto claustrofobico, dove nella scrittura non troviamo salvezza ma un conflitto mortale tra esistenza e parole, queste ultime trasformate in una trappola, in una discesa all’inferno nella alienazione dell’individuo; il rifiuto della comunità a causa della ignoranza delle regole, la violenza arbitraria a cui alcuni dei suoi protagonisti sono sottoposti, il mondo paterno da cui si sente escluso perché diverso dai “canoni” familiari. Sono tutte caratteristiche che rendono la scrittura kafkiana terribilmente contemporanea.
“Noi abbiamo bisogno di libri che agiscano su di noi come una disgrazia che ci fa molto male, come la morte di uno che ci era più caro di noi stessi, come se fossimo respinti nei boschi, via da tutti gli uomini, come un suicidio, un libro deve essere la scure per il mare gelato dentro di noi.”
Il rapporto col padre
Figlio di un commerciante israelita, lo scrittore praghese compie il suo percorso di studi in lingua tedesca fino alla laurea in Legge conseguita nel 1906. Come Rilke, Werfel e Brod, Kafka appartiene alla cosiddetta Scuola di Praga. Diviene così funzionario dell’Istituto di Assicurazioni contro gli Infortuni sul Lavoro, professione che gli sta stretta, tant’è vero che a un certo punto sentirà l’esigenza di esorcizzarla nei suoi scritti. E proprio per la scrittura e la lettura entra in conflitto con suo padre, da cui, non compreso, viene presto diseredato; ne parlerà nella Lettera al padre, pagine di forte impatto emotivo.
Le opere di Kafka
Frank Kafka scrisse inizialmente brevi prose a cui fecero seguito La metamorfosi, sua opera più famosa, e Nella colonia penale. Postumi all’autore, a cura dell’amico Max Brod, uscirono – pur rimanendo incompiuti – Il processo, Il castello e America. Queste opere sono giunte a noi poiché Brod si rifiutò di bruciarle, di distruggerle come gli era stato ordinato di fare dallo stesso Kafka nella ultima fase di vita. Per citare George Bataille nella postfazione di Lettere al padre: “Queste fiamme immaginarie aiutano anzi meglio a capire i suoi libri: sono libri destinati al fuoco, oggetti ai quali manca, di essere in fiamme. Esistono, ma per scomparire; è come se fossero già annientati”.
Le donne nella vita di Franz Kafka
L’amore accompagnerà lo scrittore per tutta la durata della sua vita, ma nessuna donna riuscirà a scandagliare il suo profondo come Milena Jesenkà. Un amore complesso, intriso di passione e paure quello con Milena, con cui intreccia una ricca corrispondenza epistolare che diventerà sempre più appassionata. La donna non lascia il marito per andare a vivere a Praga con lo scrittore, dando il via alla parabola discendente. Dalle Lettere a Milena: “E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara; amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso”.
Franz Kafka muore, assistito dall’amico medico Robert Klopstock e dal suo ultimo amore Dora Diamant, il 3 giugno del 1924 a Kierling, sobborgo a nord-ovest di Vienna, colpito da una tubercolosi alla laringe.
Il suo ultimo colloquio avviene proprio con Klopstock. Accortosi che il medico si stava allontanando Kafka gli fa: “Non vada via”. “No, non vado via”, lo tranquillizza l’amico. E lo scrittore replica: “Ma vado via io”. Franz Kafka riposa nel cimitero ebraico di Straschnitz, Praga.
Emanuela Stella
Foto di Sconosciuto – Christie’s Franz Kafka: Pictures of a Life by Klaus Wagenbach (1984), p. 174; sourced to Klaus Wagenbach Archiv, Berlin di pubblico dominio condivisa via Wikipedia