A margine della presentazione a Lamezia Terme del suo ultimo libro, Lettere alla moglie di Hagenbach (edito Rubbettino), abbiamo intervistato Giuseppe Aloe.
Dopo il lungo sodalizio con Giulio Perrone, casa editrice romana, questo è il suo primo romanzo pubblicato da una casa editrice calabrese, la Rubbettino. Lettere alla moglie di Hagenbach è una nuova indagine sulla condizione umana, sulle sue fragilità; in cosa si discosta questo ultimo romanzo dai lavori precedenti tra i quali non possiamo non ricordare La logica del desiderio, nella dozzina del Premio Strega 2012?
«Si differenzia nella condizione, nel senso che l’unica indagine letteraria che compio è quella che riguarda la follia, che possiamo declinare nella follia dell’amore, del dolore, dell’ingiustizia e, nel caso del romanzo, della follia della vecchiaia. Il personaggio Flesherman soffre di una demenza senile, quindi una follia evidente, ma l’indagine è sulla condizione della persona che tende a diventare anziana e come la follia cambia la sua prospettiva, il suo modo di vivere e come attraverso il suo sguardo il lettore riesce a capire come il mondo si trasforma quando la weltanschauung, la visione del mondo, cambia e c’è un nuovo modo di approcciarsi alle cose del mondo.
Noi viviamo per stereotipi e abitudini e quando c’è qualcosa che va fuori da questi binari a me personalmente suscita interesse e questa è la mia unica indagine letteraria: rivedere il mondo in un modo diverso.»
Tema centrale del suo ultimo romanzo è quello dell’Alzheimer. Come affronta un tema così delicato?
«È un tema che per la prima volta è affrontato non da un esterno, un medico, un parente che sia, ma dalla persona che sta soffrendo. Nel libro – io posso parlare per esperienza personale perché mia madre ha avuto questo tipo di malattia – il personaggio ha momenti di lucidità e momenti di delirio e questo può apparire complesso da seguire, ma grazie alla leggerezza e alla lingua poetica si riesce a seguire molto bene.»
Il criminologo Flesherman, protagonista del romanzo, compie un viaggio tanto fisico quanto emotivo: si muove sulle tracce di Hagenbach, scrittore scomparso, come su se stesso, muovendosi tra pezzi di pensieri come tessere di un puzzle che bisogna pur terminare. Ma come fare a ritrovarsi quando, a causa della malattia, passato e presente rischiano di confondersi e il tempo e lo spazio perdono la nitidezza dei loro contorni?
«Flesherman non si pone il problema di ricostruire un mondo attraverso le categorie dello spazio e del tempo. Il suo concetto spaziotemporale a causa della malattia è completamente diverso. Lui segue le tracce di Hagenbach senza un motivo e con un istinto di allontanamento, cioè cerca di allontanare se stesso dalla malattia. È una “fuga” che, chiaramente, non avrà grandissimi risultati, ma già il tentativo gli darà quella dignità umana che a tutti i malati di demenza senile e Alzheimer viene negata.»
Scorrendo le pagine, il lettore può percepire tra le righe tutto il senso di caducità della condizione umana. Può anche rendersi conto che tra ricordi, memorie che vacillano, visioni e di distacchi dalla realtà, manca invece il senso di rassegnazione: lo scrittore scomparso scrive alla moglie Dora, malata conclamata di Alzheimer, delle lettere pur di continuare un ideale dialogo. È un modo per voler tenere il più lontano possibile lo spettro dell’oblio cui si è destinati?
«Lettere alla moglie di Hagenbach è il tentativo di fare una letteratura pura, una letteratura per coloro che non leggeranno mai. Quindi non devi preoccuparti che piaccia, che sia interessante, che sia originale: lo scrivi e basta. In questo sta il fatto che le lettere siano così precise e piene di umanità. Infine vorrei dire che in questo libro, nonostante il tema doloroso, non troverete mai una parola pietosa, non c’è patetismo. Il malato di demenza senile e Alzheimer rimane una persona in un altro ambito. Tocca a noi capire che ambito è.»