Pier Paolo Pasolini, la Calabria e il ponte di Ariola

Quello tra Pier Paolo Pasolini e la Calabria fu un rapporto vivo, tra diatribe verbali, “banditi” e struzzi. Indimenticato anche il sostegno che il Poeta della poesia inconsumabile diede per la costruzione di un ponte ad Ariola di Gerocarne.

“Io produco una merce che è in realtà inconsumabile. […] Morirò io, morirà il mio editore, moriremo tutti noi, morirà tutta la nostra società, morirà il capitalismo, ma la poesia resterà inconsumata.”

La poesia, bene prezioso che non si consuma, che non svanisce, che resta sempre attuale e che, in taluni casi, può salvare. Financo – o anche soltanto – una piccola comunità di persone.

Sud più profondo, impenetrabile entroterra Vibonese. Circa 400 metri sul livello del mare, quel Tirreno del quale da quassù non si indovina neppure l’ombra azzurrognola. Percorrendo una strada provinciale che in alcuni punti ricorda la rugosità della carta abrasiva si raggiunge una piccola frazione dell’altrettanto piccolo comune di Gerocarne, poco più di 20 chilometri a sudest del capoluogo di provincia.

La frazioncina si chiama Ariola, punteggiata – una qua, una là – da sparute case anonime e cinta da un fitto bosco di latifoglie, faggi e lecci. Niente di speciale considerato che ci troviamo nel Parco naturale regionale delle Serre, fino a quando non ci si approssima, alla fine dell’abitato, a superare un ponte in cemento armato localmente noto come ponte di Ballaro. Ecco, si tratterebbe di un ponte anch’esso anonimo, come tanti, se questo tratto di poche decine di metri non nascondesse sotto la pancia una costruzione che ha segnato le sorti e l’esistenza medesima di Ariola e di tutti i suoi abitanti.

Ariola, un paese sopravvissuto grazie a Pasolini

Seppellito dal fango e dai rovi che si accumulano sotto il ponte e lungo le sponde del torrente Petriano – del quale, nei fatti, si percepisce soltanto il flebile mormorio –, si trovano i resti di un vecchio ponticello. Vecchio sì, ma dal grande valore storico. Quelli celati nel gomitolo di sterpi e melma, infatti, sono i resti del ponte che negli anni sessanta del secolo scorso fu costruito grazie al contributo che il poeta Pier Paolo Pasolini (1922-1975) donò al popolo di Ariola; un’opera essenziale e tanto agognata, seppur provvisoria, che permettesse di strappare dallo storico isolamento la poverissima frazione di contadini, vasai e carbonai, che vivevano radicati a un secolo obliato, senza fognature, quasi senza elettricità e, soprattutto, senza una strada degna di questo nome che potesse collegare la contrada al paese più vicino, Arena, alla civiltà, al XX secolo.

“Fotogrammi di pittura”: Pier Paolo Pasolini e l’estetica nel suo cinema
Foto di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Pier Paolo Pasolini e la Calabria

L’incontro tra l’intellettuale e regista del quale quest’anno si celebrano i cento anni dalla nascita e i poveri abitanti di Ariola, circa cinquecento anime dimenticate, i dannati del mondo, avvenne alla fine degli anni sessanta, negli anni in cui a ben altre latitudini si accendevano quelle contestazioni giovanili che avrebbero sconvolto dalle fondamenta la società.

Quello tra Pasolini e gli ariolesi non rappresentò però il primo contatto tra il Poeta e i popoli calabri. Pasolini, infatti, aveva scoperto la Calabria alla fine del decennio precedente; precisamente nell’estate del 1959 quando, al volante della sua Fiat Millecento a quattro cilindri, percorse su e giù il Paese, avventurandosi anche in quella porzione ignota della repubblica, la Calabria, che, per la maggior parte degli italiani, era considerata a tutti gli effetti una finibus terrae – una terra esotica e pericolosa alla quale mancava soltanto l’iscrizione Hic sunt leones alle porte d’accesso. Quelle scritte in Calabria – nella terza e ultima parte del reportage pubblicato sulle colonne di Successo – sono tra le pagine più belle del resoconto unico di un Paese spaccato tra progresso e arretratezza, borghesia e proletariato, racchiuso oggi nel volume La lunga strada di sabbia (Guanda).

Cutro si scaglia contro il Poeta

A onor del vero, quello tra i calabresi e l’eccentrico artista non fu un rapporto sempre disteso. E proprio quel primo passaggio in Calabria si rivelò cagione di un’accesa polemica. Passata alla storia è la diatriba tra Pasolini e la cittadina di Cutro. Durante la sua avventura alla scoperta della Bassitalia, infatti, il Poeta si imbatté nell’abitato oggi in provincia di Crotone (all’epoca rientrante in Catanzaro) i cui abitanti furono poi appellati nel reportage nientemeno che “banditi”. Cosa era successo?

Ricorriamo alle parole di P.P.P.:

“Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il lungo viaggio. È, veramente, il paese dei banditi, come si vede in certi westerns. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello. Nel sorriso dei giovani che tornano dal loro atroce lavoro, c’è un guizzo di troppa libertà, quasi di pazzia. Nel fervore che precede l’ora di cena l’omertà ha questa forma lieta: nel loro mondo si fa così. Ma intorno c’è una cornice di vuoto e di silenzio che fa paura”.

Naturalmente, il popolo e il sindaco di Cutro si infuriarono, vedendo le loro dignità e reputazione calpestate da quelle frasi. La querelle dialettica sfociò in una denuncia – una delle tantissime ricevute da Pasolini, un uomo che nella sua vita si trovò ad affrontare ben trentatré processi e per i suoi romanzi e per i suoi film e per la sua condotta personale – poi conclusasi nel ’62 poco meno che a tarallucci e vino. L’intellettuale si preoccupò di chiarire a una delegazione di notabili cutresi il vero significato delle sue parole.

Egli non intendeva, di fatti, che quei “banditi” fossero dei criminali d’altri tempi che impegnassero il loro tempo a organizzare assalti alle diligenze, ma che il suo colorito termine andasse preso con simpatia (“Fin da bambino, ho sempre tenuto per i banditi contro i poliziotti: figurarsi in questo caso”, affermò) e inteso come banditi dalla società, emarginati e dimenticati dallo Stato. Allo stesso tempo, però, non mancò di sottolineare quella sensazione di pericolosità avvertita in alcune zone del territorio e mise in guardia i cutresi – leggi i calabresi – di non ficcare la testa sotto la terra come gli struzzi, ma di guardare in faccia la realtà, di accettarla e di affrontarla. Un monito valido ieri come oggi.  

Pier Paolo Pasolini durante le riprese de Il Vangelo secondo Matteo
Pier Paolo Pasolini durante le riprese de Il Vangelo secondo Matteo. Foto di Domenico Notarangelo – Own work condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 4.0

Pasolini e gli amici di Calabria

Comunque sia, Pasolini rimase affascinato dalla Calabria, dalle mille sfaccettature e dalla potenza di quella terra aspra e misteriosa e decise di farvi tappa in altri suoi viaggi, come nel 1963, durante i lavori de Il Vangelo secondo Matteo, in cui proprio a Cutro, oltre che a Le Castella, il regista ambientò alcune scene della pellicola, memore di quei calanchi gialli che tanto ricordavano un’area desertica. In quegli anni P.P.P. conobbe vari esponenti della cultura regionale, tra cui lo scrittore serrese Sharo Gambino e il regista e sceneggiatore vibonese Andrea Frezza. Questi lo accompagnarono alla scoperta delle realtà contadine dell’entroterra della Calabria centrale.

Foto scattata da Pier Paolo Pasolini in visita negli anni sessanta a Serra San Bruno. Da sinistra a destra: lo scrittore Sharo Gambino, il regista e sceneggiatore Andrea Frezza, l’avvocato e giornalista Franco Inzillo e lo scrittore Aldo Rosselli. (Foto archivio Gambino presso Casa della Cultura Sharo Gambino)

Fu così che, nel peregrinare nei meandri di quella terra di “uomini e banditi”, il Poeta venne a conoscenza della miseranda vita che si conduceva ad Ariola, tra privazioni, soprusi, proteste dei contadini contro i proprietari terrieri e contro il governo locale e nazionale per ottenere la realizzazione di una infrastruttura che potesse collegarli al vicino comune di Arena; disagi e suppliche dinanzi ai quali il potere democristiano del luogo faceva orecchie da mercante.

Cinquantamila lire per un ponte verso l’umanità

Pier Paolo Pasolini, comunista nel sangue seppur espulso dal Partito dal 1949 per le sue tendenze omosessuali, non poté restare inerte. Raggiunse quegli agrari ariolesi che il suo nome non lo avevano mai sentito neppure nominare e ascoltò la loro rabbia; prese a cuore le storie di quella comunità primitiva, di quel “paese interiore” che non era stato toccato dalle brutture della rivoluzione borghese, della società dei consumi, da quel subdolo conformismo che stava permeando la Penisola, e incominciò a raccontarle in giro. Diede voce a chi voce non ne aveva, agli ultimi, ai diseredati. Ai “banditi”.

I problemi dell’abitato circolarono per tutta la regione, crearono sdegno, qualche confronto, ma pochissime azioni; sicché, alla fine, l’unico aiuto economico giunse proprio da Pasolini che mise mano al portafogli e donò la somma di cinquantamila lire – equivalenti a circa cinquecento euro di oggi –, cifra con la quale gli abitanti di Ariola riuscirono a costruire il desiderato ponte su un vallone, fino a quel momento non oltrepassabile, che, a piedi o a dorso d’asino, li avrebbe condotti alla frazione Berrina di Arena, all’età contemporanea, alla scoperta dell’umanità.

ponte Pasolini Ariola Gerocarne
Il ponte Pasolini ad Ariola di Gerocarne. (Foto Antonio Pagliuso)

Il nuovo ponte intitolato alla memoria del Poeta

Come detto, del ponte costruito grazie alla generosa donazione di Pasolini oggi restano soltanto dei resti difficilmente individuabili tra le fitte sterpi; crollato dopo alcuni anni dalla costruzione, il ponte del Poeta è sepolto dalla nuova struttura in cemento messa in piedi nella prima metà degli anni ottanta. Quel che rimane è un gesto e l’amore – che è anche litigarello, vero? – di Pasolini verso la Calabria.

Leggi anche il commento di Pasolini a Delitto e castigo di Dostoevskij

Già giunta è la delibera di intitolazione del ponte di Ariola di Gerocarne al grande poeta e letterato la cui impronta sulla nostra società resta percettibile, pulsante, inconsumabile. Proprio come la sua poesia.

Antonio Pagliuso

Foto di sconosciuto – Italian magazine Epoca, N. 1268, anno XXVI, p.64 di Pubblico dominio condivisa via Wikipedia