Recensioni: “Bestie” di Sofia Pirandello

“Ho un’anima antica e nera, profonda come un pozzo e chissà quante cose ci nascondo. Ho paura del buio, anche se me lo porto dentro. Sono grezza come l’origine, che dentro di me non ho dimenticato del tutto. Forse per questo, mi piace guardare la notte nella stanza. Sono una donna antica, racconto favole, mi piace il rumore che fanno, stringono le ossa e il cuore. Non è importante che siano vere, in parte lo sono sempre. Forse, semplicemente, sono cresciuta male, sono diventata cattiva. Come finisce questa storia? Comu finisci si cunta. Il mio nome è Lucia.”

Un romanzo scritto con la terra e col sangue. Questo è Bestie di Sofia Pirandello (edito Round Robin), opera meritatamente segnalata al Premio Strega 2023. L’autrice, che è pronipote dello scrittore Luigi, premio Nobel per la Letteratura, ambienta in un rovente paese della Sicilia a cavallo tra gli anni trenta e quaranta la storia di Lucia, cresciuta, insieme al fratello, da una madre “pazza” e da un padre sempre alla ricerca di “qualcosa” e che finisce col morire troppo presto sotto le armi. Rimasta vedova, la madre di Lucia infligge una severa educazione alla figlia, condannandola – così come la vita stessa la condanna – perché fimmina, fimmina come lei.

E la piccola Lucia annaspa in una vita troppo stretta, fatta di caldo torrido, magia nera, lutti e privazioni che la segnano nel profondo. Fino alla partenza per la sua America, il Nord Italia dove vivrà sì la sua vita, ma ne verrà divorata fino al suo ritorno alle origini e al febbricitante, liberatorio finale.

Chi sono le bestie di Sofia Pirandello?

E dunque, chi e cosa sono le bestie? Le bestie sono tante cose: sono gli stupidi in dialetto siciliano, le persone cattive, sono le bestie (o gli uomini) che vanno al macello condannate da una sorte inesorabile, sono gli animali che Lucia farà a pezzi con pazienza nel suo mestiere di macellaia. Bestia è lei stessa, nel suo desiderio di vendetta, nella sua ferocia: “Come un aruspice andavo cercando il destino ficcandoci le mani fino ai polsi. La carne era la mia protezione, l’unico futuro”. Sì, perché al ritorno al suo paese, nell’indipendenza ritrovata, e forse aiutata dalle stregonerie della zia – che per mestiere lancia maledizioni e sortilegi, magarìe – Lucia prende il posto del macellaio del paese, morto improvvisamente. Insieme a un lavoro, ritrova l’arte della scrittura, rifugio e consolazione da sempre, che da piccola le era stato vietato, perché studiare non serviva, serviva lavorare per sopravvivere. Ed eccolo, il riscatto, finalmente potrebbe essere se stessa.

“Con la lingua bisogna esercitare forza bruta, essere rozzi e attenti insieme. Maneggiare i coltelli e scrivere hanno entrambi a che fare con la poesia.”

Il libro è strutturato in stagioni: estate, autunno, inverno. Manca la primavera, una primavera che forse Lucia non ha mai vissuto perché condannata a una vita che non può dare spazio agli eccessi, al bisogno, al desiderio. Bisogni che resteranno inattesi anche al Nord, dove Lucia si ritroverà intrappolata in una storia d’amore che la deluderà fino a perdere se stessa, per poi ritrovarsi nel ritorno alle proprie radici.

Un romanzo matriarcale

Le protagoniste di questo romanzo, un romanzo corale con un’impronta fortemente matriarcale, sono le donne, donne impavide come la zia, come Catena, amica di famiglia con cui Lucia instaura un rapporto di grande complicità; e, ancora, figure come la mamma, Anna, di cui Lucia è sempre stata madre e mai figlia. E crescendo, si ritrova sempre di più nella figura della madre, che sopravvive, nonostante tutto a modo suo, a un contesto ostile, che la etichetta come pazza.

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Il romanzo di Sofia Pirandello ha una meravigliosa scrittura sensoriale: è fatto del profumo dei limoni, del loro colore giallo, giallo come il sole che brucia lentamente questa terra, dell’azzurro del mare che sembra così lontano… e ci accompagna l’odore della terra, dall’inizio alla fine della storia della protagonista, nelle sue privazioni che diventano forza, nella sua sete di vita e di aria, nelle sue visioni e nelle sue paure represse che ineluttabilmente esplodono in un finale tracciato dal destino. 

“Tutto accade perché qualcuno ha stabilito così, il caso è fatto di una serie fitta di decisioni precise e dunque non esiste. Ogni singolo passaggio è un incastro al millimetro. Ogni cosa capita perché doveva succedere così, un po’ scegliamo noi, un po’ sceglie tutto il resto.”

Emanuela Stella