Il dolce domani è la storia di Sayoko che ha visto l’ultimo arcobaleno della propria esistenza ed è tornata indietro per vivere i suoi domani. Si tratta di un lungo racconto che Banana Yoshimoto ha scritto con vellutata acutezza all’indomani dello tsunami e del terremoto di Fukushima. Ai lettori italiani Il dolce domani è arrivato nel giugno 2020 per i tipi di Feltrinelli, in un periodo di mestizia e insicurezza quando di risvegli si parlava e di risvegli si aveva un’estrema necessità.
Accade a volte (o molto più spesso di quanto si possa immaginare) che il mondo come lo si è conosciuto muti in maniera repentina. Ci si sveglia al mattino non curanti del fatto che quella nuova giornata potrebbe essere l’ultima pagina di un capitolo. Accade che si rimanga aggrappati a quella pagina, con il rischio di strapparla, spinti dal timore di perdersi nell’atto di liberarla. Sayoko quella pagina l’ha stretta fino a che ha potuto. Poi ha dovuto scriverne un’altra. Il dolce domani è quel nuovo capitolo.
La ragazza ha ventotto anni, vive a Tokyo dove lavora come cameriera in un ristorante italiano. Ama a Kyoto, nel senso che ama l’antica città imperiale così come ama Yoichi, il giovane e talentuoso artisti con cui immagina di condividere un lungo pezzo di strada.
Purtroppo i progetti del fato mal si accordano con quelli degli uomini. È sufficiente un soffio, un battito di palpebre mentre l’esistenza scorre con non curanza: l’increspatura diviene faglia devastante. Per Sayoko e per Yoichi la faglia è una strada conosciuta, un domani come tanti, nella propria auto in mezzo al verde brillante e palpitante di promesse. La faglia è uno schianto che strappa il respiro a Yoichi e si conficca nello stomaco di Sayoko.
La morte, il dolore, la convalescenza e l’amore sono le luci del nuovo risveglio; Sayoko sopravvive all’incontro con la morte. Dopo aver percorso fino in fondo l’arcobaleno dei ricordi, il suo sguardo si assottiglia e le mostra tutti i volti irrisolti delle vite spezzate che la circondano. La ragazza lega assieme storie che impara a custodire come fossero sue. Intraprende la ricerca della propria anima, del mabui, camminando con leggerezza nei domani intrisi di alcol e lacrime.
Ognuno di noi vive la propria vita portandosi dietro il peso del dolore che ha provato. Ci sono anche quelli che non provano niente e che non portano alcun peso: basta un’occhiata per capire chi sono. Sembrano automi, sono diversi dagli altri. Quelli che portano un peso li riconosci dal colore, dall’incedere pieno di grazia. Ecco perché sono contenta di avere un peso da portarmi dietro. Finché ho giorni da vivere, voglio viverli con grazia.
Che posto stupefacente è il mondo, con il verde vigoroso dell’estate che sconfina nella bellezza gelida di una stagione che è come un mondo a parte, e il rosso delle camelie e il giallo delle foglie morte. Gli esseri umani vivono le loro vite all’interno di un enorme teatro. E l’energia che riversano nel mondo è il loro biglietto d’ingresso.
La morte non ci cresce dentro con il passare degli anni, è sempre a un passo da noi. Sono solo i ricordi legati alla morte ad aumentare. Facendoci capire quanto ci illudiamo quando pensiamo di essere al sicuro. Non sarei fuggita, e nel momento in cui presi questa decisione capii finalmente cosa voleva dire perdere il mabui.