Recensioni: "Il colibrì" di Sandro Veronesi

Il colibrì è un libro di Sandro Veronesi (La nave di Teseo, 2019), vincitore del Premio Strega 2020. È proprio in quel volatile, uno dei piccoli uccelli esistenti al mondo, la chiave di violino per leggere lo spartito musicale di questo romanzo. 

Le note dominanti sono quelle grevi dell’introspezione mai ridondante, ma asciutta e tagliente come la sciabolata del Destino.

A quell’arma ineluttabile Marco, il colibrì, non sottopone la nuca come un eroe rivoluzionario francese, ma non si prostra nemmeno come un animale condotto al macello. 

Il colibrì che Marco Carrera ricordava nelle minute fattezze giovanili ha l’abilità di rimanere quasi immobile, a mezz’aria, capacità garantita dal rapido battito alare.

Come ebbe a intuire Luisa, oggetto del platonico amore epistolare di Marco, nessuno come il colibrì riesce a fermare il mondo ed il tempo quasi riuscendo a riappropriarsi di quello passato.

Dinanzi a un destino quasi mai alleato, ma più spesso boia che non risparmia lutti e distacchi, la reazione è tutta centripeta nel petto piumato del protagonista.

Primo ciak per Il colibrì di Veronesi diretto da Francesca Archibugi

E allora l’assenza dell’amore vagheggiato per Luisa si tocca come fosse il braccio della persona accanto alla quale, sullo stesso treno, abbiamo fatto i viaggi più importanti della nostra vita. Mentre l’amicizia compassionevole con lo psichiatra Carradori, mai e solo di rado fisicamente presente, diventa un terzo occhio custode, in mezzo alla fronte di Marco.

È un libro onesto, che non vuole strizzare l’occhio a facili ricettari contro dolori spropositati. Tuttavia se un valore didascalico per quanto riduttivo gli si volesse pur dare, lo si coglie nel suggerimento per nulla asettico del dottor Carradori:

Lavoriamo sui desideri, sui piaceri. Perché anche nella situazione più disastrosa i desideri e i piaceri sopravvivono. Siamo noi che li censuriamo. Quando siamo colpiti dal lutto censuriamo la nostra libido, mentre è proprio quella che può salvarci.

Marco ha perso una figlia, il sangue gli si è disseccato nelle vene. Ciononostante, senza saperlo, è ancora un vulcano silente che sotto le ceneri conserva i lapilli dei desideri.

Convenzionali, non convenzionali, opportuni o meno, non resta a Marco e a noi tutti che andare incontro a quello che ci piaccia. E se l’atomo del dolore è, per legge fisica, non frantumabile questo non impedisce che una breccia nella memoria vitale si apra: la memoria storica dei desideri.

Marco si siede di nuovo al tavolo da gioco e sua figlia continua a gridare “assenza”, la piccola nipote ad essere un’orfana.  Luisa non bussa alla sua porta, ma la vita che il dolore aveva sloggiato da quel corpo torna a pompare adrenalina e brucia sotto i polpastrelli sangue misto a rossissima lava.

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Ci si congeda da questo romanzo avendo l’impressione che, dall’inizio alla fine, uno stetoscopio discreto e partecipe della voce narrante ci abbia permesso di auscultare tutti i moti del petto del colibrì tante volte inchiodato dal destino, ma mai scompagnato dal frullio impercettibile e vorticoso delle sue ali.

Antonella Crocè