Recensioni: “La casa del mago” di Emanuele Trevi

Fra i libri più attesi in uscita a settembre, La casa del mago segna il ritorno in libreria di Emanuele Trevi, Premio Strega nel 2021 con Due vite.

Il luogo teatrale scelto per questa narrazione è la casa del mago, una rappresentazione che si identifica con un percorso introspettivo attraverso un viaggio nel tempo, alla ricerca di ricordi che rappresentano i pezzi mancanti di un puzzle necessari a ricostruire l’identità personale di un padre e restituirgli una verità mancata dalla superficialità pertinente per lo più ai figli, che proprio avvolti dal ruolo di figli, non hanno l’adeguata ricercatezza di scoprire e andare oltre ciò che è l’immagine genitoriale più consona alle proprie giustificazioni, proprio perché presi da sé e dalle proprie esigenze egoistiche.

Essere attori protagonisti e antagonisti di una rappresentazione che è la vita, dove il mondo interiore si rivela come reazione alle provocazioni del mondo esterno. Attori alle prime armi che per riappropriarsi di sé simulano “la camera dell’infanzia”, antico tema di improvvisazione, dove ciò che conta non è il ricordo in sé, ma la stessa dinamica del ricordo.

Emanuele Trevi in La casa del mago, edito da Ponte alle Grazie, non solo effettua un’accurata ricerca dell’uomo proprio come uomo oltre che padre in un percorso di ricordi, storie, personaggi, ma procede verso la psicoanalisi della figura paterna, che a sua volta diviene un percorso di autoanalisi del figlio, di se stesso, che prenderà coscienza di entrambi da nuovi punti di vista e prospettive. Ricordi sbiaditi e poco veritieri che come una vecchia fotografia ingiallita fa riaffiorare suoni, immagini, parole, luoghi, in una sinfonia che riprende vita e si riappropria dei propri colori. Un intreccio alchemico di simbologie ed elementi rievocativi, tutte pertinenti alla trasformazione: “Il cambiamento è un processo di trasformazione”, così come la morte può rappresentare o fine o passaggio. Simboli e rituali.

Una casa che diventa palcoscenico di rappresentazioni teatrali infinite, quelle della vita e dei suoi protagonisti, così come tutti quei racconti confidenziali dei pazienti al Mago, che rivivono nella casa come in un’eco infinito e che inconsciamente fanno demordere papabili acquirenti, perché questo ingresso è destinato allo stesso figlio, che improvvisamente prende consapevolezza di non doversi liberare della casa ma divenire esso stesso parte integrante di questa abitazione, perché “ogni momento è un equilibrio imprevedibile di forze contrarie”.

Così inizia il percorso di introspezione personale mentre si affanna alla ricerca di qualsiasi nuova visione che lo avvicini a una conoscenza approfondita del padre e questo peregrinaggio è affiancato dalla simbologia di vari oggetti.

Il primo pianeta da esplorare è quello della scrivania, la stessa scrivania che divideva il mago dai suoi pazienti, o meglio il guaritore, colui che è capace di essere e di non essere. La coperta di lana grigia ruvida e infeltrita, che diventa pezzo di storia per il contesto storico e per ciò che ha vissuto il padre. Una lucerna romana di terracotta simbolo di umiltà nella sua essenza e nell’appartenenza integrante nella vita del padre; quaderni ricchi di appunti, fogli ricchi di disegni dagli schemi concentrici, con effetto quasi ipnotico.

La scrittura denota una ricerca diretta e immediata della percezione della vita, mentre il disegno assume il tragitto inverso: l’evaporazione della coscienza di sé e del mondo, un modo per sottrarsi a schemi di pensieri che diventano essi stessi prigionia, un modo per non rinchiudersi in questa gabbia, un po’ come avviene con la meditazione dei mandala tibetani. E ancora un rituale che apparentemente sembra inutile o innocuo, ma che invece rappresenta un punto di svolta anche per lo stesso autore: la lucidatura dei sassi, che con metodica e ostinazione porta alla luce l’essenza della stessa pietra, che si riappropria di una luce permanente e duratura.

Naturalmente un Mago non può essere privo di libro e nel romanzo due sono i prescelti in questo percorso: il primo Simboli della trasformazione di Jung, guida silente di questo viaggio e come secondo e ultimo oggetto scelto Il libro dei mutamenti, che funge da oracolo.

Il Mago: una carriera, un uomo un padre, un’attitudine un figlio. Un Mago illuminato, dotato di intuizione e creatività, un maestro che un giorno si sveglia e si accorge che l’apprendista non è più lì. Un passaggio di testimone da padre a figlio perché “l’intreccio delle radici è la madre di ogni cosa”.

Simona Trunzo