Ci sono persone fatte per l’amore e altre no. La protagonista de La figurante, l’ultimo romanzo di Pauline Klein (edito Carbonio), non lo è. Semplicemente.
Camille Tazieff è una giovane donna parigina, accondiscendente, a tratti approfittatrice, ma in buona sostanza mite e passiva; Camille è intenta a condurre un’esistenza priva di rumori, secondo i dettami materni. Per via di questo carattere, la donna mescola una certa timidezza a una buona dose di narcisismo e questo la porta ad avere una vita sentimentale tutt’altro che invidiabile.
Eppure Camilla non ha vissuto una vita piatta: per un certo periodo ha soggiornato a New York dove, per arrotondare senza troppa fatica, ha lavorato per una compagnia fornitrice di servizi erotici via telefono, “un genere di accompagnamento discreto e più raffinato” rispetto a quello offerto dal mare magnum della rete.
Ormai prossima all’età in cui prendere una posizione nel mondo, Camille si trova aliena alla realtà dei suoi coetanei, lontana dall’amore – o da qualcosa che possa somigliargli, perché per lei l’amore fa rima con vergogna – e da quei pensieri che a un certo punto bisogna pur considerare: il matrimonio, i figli, la carriera professionale.
“Sottomettersi o battersi, in entrambi i casi vedevo una totale perdita di tempo e ho preferito vivere nel mio cantuccio senza dover fronteggiare quei mondi.”
Presto, però, un vulcano comincia a ribollire dentro Camille; la ragazza riscopre l’ebrezza del sesso: quello virtuale, quel mondo che ha così poco a che vedere con la sessualità, quello degli uomini, con quella “semplicità disarmante” che provoca in loro il piacere, e anche quello primigenio, misterioso, fatto soltanto di sensi, che si incontra già nell’infanzia.
Dopo una serie di incostanti azioni, nell’ultima parte del volume la protagonista decide di tuffarsi nell’amore comune, quello che pare così bello nelle vite degli altri, e lo fa con Elias, un libanese di buona famiglia: il classico buon partito. In breve, però, comprenderà quanto quel mondo di accortezze, di gentilezze naturali, di vita divisa e condivisa, di “cose buone da prendere” non faccia altro che soffocarla, perché Camille nella vita desidera stare un passo indietro e in questo modo essere se stessa.
“Mi ricordai di quel silenzio profondo e dolce, di accogliere il divenire, il forse, il non ancora, l’appena, il sempre sul punto di, come una vertigine.”
Nel romanzo si assiste a una narrazione in prima persona dei capitoli di vita di Camille, un su e giù di emozioni fino a un finale molto profondo e sul quale ogni giudizio risulterebbe soltanto parziale, se non sconveniente. Ne La figurante, Pauline Klein (leggi qui l’intervista che ci ha concessa) ci delizia con una capacità narrativa non frequente, che permette al lettore di figurarsi le scene come in un film e di instaurare un rapporto di odio e amore verso la singolare protagonista della storia.
Antonio Pagliuso