Recensioni: “L’amore al fiume” di Ezio Sinigaglia

In quella che pare un’unica infinita giornata del solstizio d’estate, Ezio Sinigaglia racconta i grotteschi ardori giovanili di un gruppo di militari. Una prova letteraria da cui emergono, ancora una volta, la fantasia e la dirompente padronanza lessicale dello scrittore lombardo.

Che ne sai della vita militare? si diceva un tempo, e forse si dice tuttora, seppur raramente, nei paesi. Con la sospensione, dal 1° gennaio 2005, del servizio di leva obbligatorio sono sempre di meno gli italiani consci di quella esperienza che in passato per tanti giovanotti rappresentava la prima prova di vita lontano da casa, dal proprio campanile e dal comodo contesto famigliare, improvvisamente catapultanti in un paesaggio nuovo, ad affrontare regole inedite e financo una lingua – quella patria – appena appena comprensibile, praticata giusto a scuola – per chi ci era andato. Ragazzi addestrati all’obbedienza, a svolgere continue esercitazioni e a ingurgitare un rancio mai neppure parente dei prelibati e amorevoli pasti materni, contando a mente le ore che li dividevano dalla telefonata ai propri cari o le settimane dalla prossima licenza.

Ma questa non è la sede per lasciarsi andare ad analisi sociologiche o a romantiche, nostalgiche e superficiali affermazioni di quanto fosse formativa quella esperienza, ché la vita militare è soltanto la cornice in cui si svolge la trama de L’amore al fiume (e altri amori corti) di Ezio Sinigaglia, raccolta di sei novelle uscita lo scorso giugno per Wojtek Edizioni.

Il racconto principale de L’amore al fiume

A introdurre il volume il racconto eponimo che vede protagonisti due bersaglieri. Il primo, il bersagliere Cecconi, romano, ruspante e dalla psicologia assai rudimentale, è noto nel campo per la sua spietatezza e l’abilità naturale di picchiatore seriale; il secondo, il bersagliere Zanella detto Mao, alto, snello, dalla pelle dorata, assai più aggraziato, è conosciuto invece per tre sue peculiarità. Prima d’ogni cosa, Mao è omosessuale – o se preferiamo, come d’altra parte viene indicato in maniera più diretta e meno ipocrita e quindi politicamente corretta, frocio.

Dopodiché, Zanella, l’incantevole frocio del campo militare, è un grande amatore e pure un incallito seduttore – chiaramente di uomini, chiaramente dei suoi commilitoni che colleziona come figurine dei calciatori non concedendo loro, narcisisticamente, quasi mai il bis, seppur sempre richiesto. Il bersagliere, infine, ha anche una terza particolarità, poco prevedibile, dato lo status del giovanotto, dalla primitiva e frettolosa concezione comune; una particolarità che viene definita la sua “spettacolare curiosità anatomica”: il meraviglioso soldatino è oltremodo dotato, lunghissimamente, efficacissimamente; un armamentario equivalente a circa “una volta e mezza” quella di un uomo normodotato.

In un anfiteatro di rocce rossastre sull’ansa del fiume, a seguito della prima “eccezione”, vale a dire l’iniziazione “ai piaceri di Sodoma” del rozzo Cecconi, i due, figli di ambienti socioculturali agli antipodi, scopriranno di sé qualcosa di mai presagito.

Gli amori dionisiaci al solstizio d’estate

Gli amori comico-grotteschi si susseguono nel campo caserma, nella bolla spaziotemporale al centro dei racconti di Sinigaglia. Racconti che racchiudono quello che pare essere un unico infinito pomeriggio del solstizio di giugno, con altri personaggi impegnati alla riscoperta di una sessualità ancestrale e di una felicità primigenia, a lungo represse e riscoperte proprio grazie alla dionisiaca fuga dalla realtà propiziata dagli obblighi verso una patria che c’è ma non interferisce mai nelle storie che compongono il libro dello scrittore lombardo.

È così che il lettore conoscerà una premurosa e prorompente dottoressa dell’ospedale da campo, un sedicente infermiere tutto muscoli e zero cervello, una serie di personaggi ingenui e allo stesso tempo maliziosi, inconsciamente impudichi, dediti all’onanismo e della sessualità quanto mai fluida, per un utilizzare un termine assai gradito ai più.

Oltre alla vena burlesca-piccante, sempre alta e mai volgare, di Ezio Sinigaglia – già apprezzata in altri lavori come L’imitazion del vero, libro del 2020 secondo questa testata –, emerge nelle novelle de L’amore al fiume la famigliarità non usuale con i dialetti regionali e le minoranze linguistiche d’Italia – singolarità che fa del volume un vero romanzo corale – e la dirompente padronanza lessicale dell’autore, limpide, naturali e non frutto di ripetuti passaggi di editing che sovente riducono agli standard, omologano il vocabolario e la sintassi degli scrittori, specie quando a confezionare l’opera è un editore/gruppo editoriale di prima fascia. E, vivaddio, questo non è il caso.

 Antonio Pagliuso