Recensioni: “Non muoio neanche se mi ammazzano” di Letizia Cuzzola

Un prima, un dopo, una terra di mezzo o meglio una terra di fuoco che arde come le fiamme degli inferi, spietate e irriverenti nelle loro movenze sinuose, e la storia di persone convolte in questo percorso per un’unica colpa: il rispetto e la dignità verso il loro pensiero identitario e per la loro patria.

La ricerca di un passato non dimenticato nel libro di Letizia Cuzzola

L’autrice è Letizia Cuzzola che propone il suo nuovo romanzo, o meglio la ricerca di un passato omesso ma non dimenticato, parte della nostra storia, di una terra calabra a cui viene restituita un’identità storica, una dignità che la contraddistingue, così come il suo essere omertosa, che tutto vede e tutto tace, ma non è questo il caso.

In Non muoio neanche se mi ammazzano, un progetto in cui ha fortemente creduto anche Morrone Editore, si crea un viaggio a ritroso nel tempo, in un tempo che non dovrebbe avere tempo, così come il silenzio che ha avvolto questa verità, rimasta in sospeso come in una bolla di sapone che Letizia Cuzzola ha saputo far esplodere grazie all’accurata ricerca storica, alla sua dedizione e passione e soprattutto spinta dall’amore per una dignità storica che appartiene a ognuno di noi, alle nostre famiglie alle nostre radici, ci si riappropria così di una parte identitaria lasciata in un cassetto, lo stesso cassetto in cui si depongono foto, lettere, cartoline, stralci di pensieri, sogni, ricordi.

Si tratta di un periodo storico di cui non si vorrebbe ricordo perché il non essere reale in questo caso sarebbe stato una situazione ideale, ma l’indole umana non sempre è mossa dall’amore, a volte si insinua la rivalità, il dissidio, il conflitto che come un’onda d’urto si propaga in modo anomalo mossa da violenza, sino a raggiungere dimensioni sproporzionate che definiamo guerra.

Gli Internati Militari Italiani dimenticati

Guerra simbolo di distruzione e morte sviscera il peggio dell’animo umano, a volte la si giustifica con la religione, l’espansione del territorio o per nuove ricchezze e sete di potere. Ma non è la guerra la protagonista, bensì gli Internati Militari Italiani, dimenticati dalla nostra storia, a cui l’autrice ci introduce con una narrazione delicata, sincera e diretta in un viaggio nel tempo a cui sembra di poter assistere con i propri occhi, la storia di uno di loro, Vittorio Cuppari, delle sue origini del suo grande amore, di quel periodo oscuro che lo ha allontanato dalla sua terra e dai suoi affetti, perché come altri ha gridato forte e chiaro no al compromesso.

Piccoli segnali o campanelli dall’allarme che si insinuano nella quotidianità, piccole imposizioni che indicano nuovi elementi palesi addirittura nei fumetti, tra i banchi di scuola, il tutto con un’unica finalità: manipolare il pensiero comune, sin dai più giovani, piccolo esercito da formare: “la scuola era una sorta di arma bianca per il regime”.

E poi l’inizio della fine dove sopraggiunge il sonno per sfinimento e la fame la fa da padrona, una fame inesorabile pronta a modificare gli istinti dell’essere umano, che tormentato dalla mancanza di cibo, che comunque è elemento di sopravvivenza, diventa abbietto, inesorabile nella sua crudeltà e privo di anima.

Scavare oltre la pelle

L’umiliazione dei maltrattamenti, umiliazione non solo fisica anzi, unicamente morale, contro ogni dignità, una violazione che sembra voler scavare oltre la pelle, sino alle carni, così come i metodi di purificazione di pulizia e igiene dei prigionieri, resi tutti uguali dai soprusi, che eliminano ogni grado della divisa o altro. Una cattività che assume le forme di un crudele esperimento sociale che provoca il meglio o il peggio delle vittime spronando gli istinti di sopravvivenza che si possono muovere in direzioni opposte, quelle del bene e del male. E ancora, come ospiti di questa terrificante terra di mezzo, privati anche di una qualunque catalogazione, perché non considerati neanche prigionieri di guerra e privati così di ogni forma di comunicazione dall’esterno, inclusi i propri cari, inconsapevoli dell’evolversi degli accadimenti del mondo. 

Finalmente tutto si compie e i protagonisti possono tornare alla loro vita, ma non da dove è stata interrotta, perché la terra di mezzo li ha privati di parte del loro cammino, della loro quotidianità, dei loro affetti, a cui sono rimasti fedeli come a sé stessi e al loro giuramento verso una patria poco fedele, da dove è stato concesso da terzi. Una verità riconsegnata ai protagonisti del romanzo e della storia, perché la verità della parola e la sua ricerca legata all’onesta intellettuale restituisce dignità e riscatto, questo il dono dell’autrice che smuove i nostri animi con la sua sensibilità morale e narrativa.

Simona Trunzo