Recensioni: “Le cose di prima” di Giuseppe Aloe

Il protagonista di Le cose di prima, l’ultimo romanzo di Giuseppe Aloe, intraprende un viaggio catartico che lo riporta alla sua adolescenza spezzata, stuprata e sfiorita d’improvviso.

“Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.”

Forse anche con la scrittura funziona allo stesso modo. E come in bilico tra sonno e ragione o nel pieno del sonno della ragione – che lo sappiamo – genera mostri, ogni ombra è ingannevole, soprattutto quando si decide di intraprendere un cammino a ritroso, che porterà inevitabilmente a un punto di rottura.  E sappiamo anche che la fine coincide, forse necessariamente, con un inizio.

Questo è il viaggio che ci regala Giuseppe Aloe, con la sua scrittura elegante e pacata, nel suo ultimo romanzo Le cose di prima, edito Rubbettino.

L’adolescenza spezzata nel romanzo di Giuseppe Aloe

Il viaggio che il narratore, oggi professore quarantenne, compie è un viaggio catartico che lo riporta ai suoi tredici anni, alla sua adolescenza; un’adolescenza spezzata, stuprata, che sfiorisce all’improvviso senza alcuna avvisaglia. Un nodo che non gli consente di essere libero e che deve necessariamente sciogliere. E lo fa così come faceva suo padre, avido lettori di romanzi francesi e russi: scrivendo una storia.

È la storia di Martin e della sua famiglia, degli abusi subiti dal ragazzo e da suo padre per mano della madre, che incolpa marito e figlio di “essere la sua morte”, di averle tarpato le ali; ché se ogni famiglia infelice è infelice a modo suo, non avete idea della follia, della esasperazione e del tormento a cui va incontro questa, di famiglia, nello spalancare le porte della casa, finora un nido, un rifugio, a Grebic, all’amante della madre. I quattro convivono malamente sotto lo stesso tetto e il ragazzo si danna, non riesce a capire come sia possibile soprattutto per il padre subire una serie aberrante di umiliazioni senza che in egli si scateni una reazione; un padre che finisce addirittura segregato in casa. Eppure, nessuno prende in considerazione una soluzione logica.

Un uomo sottomesso e dimesso

Ma tant’è. Il padre è sottomesso ai suoi aguzzini, quasi come se fosse colpevole di qualcosa, quasi come se fosse lui quello “sbagliato”.  Martin, che già attraversa il mare agitato della adolescenza, è traumatizzato da quella che è la sua nuova vita, fortunatamente trova rifugio e conforto da un vicino di casa, Reinard, che lo sosterrà e lo aiuterà regalandogli sprazzi di una normalità che la sua famiglia ha ormai irrimediabilmente perduto. La storia prenderà pian piano le caratteristiche di una vera e propria tragedia.

Intanto l’ormai adulto Martin, alle prese con i suoi fantasmi, con le stanze vuote dove sono seppellite “le cose di prima” inizia a frequentare un’insegnante di storia dell’arte, una donna allegra e intelligente che cerca di spazzare via le tenebre che ha nascosto nel suo cuore. Effettivamente Annette riesce a riportare la luce nella sua vita e lui stesso ne prende coscienza quando, Janette, la mantide religiosa che sostava a guardia nel suo balcone e che gli teneva compagnia nelle sue notti solitarie e malinconiche, va via.

Un epilogo drammatico

È in quel momento che capisce che non ha più bisogno di protezioni, che può finalmente lasciarsi andare, abbandonarsi a un amore che non ha mai conosciuto nella sua vita se non da bambino, ma forse anche quello era finzione. Insieme ad Annette, Martin arriverà a scrivere il tragico epilogo del suo libro; un libro che racconta non solo i fatti accaduti, ma soprattutto la follia, le terribili paure di ieri, vissute da un bambino, con le parole dell’uomo di oggi.

Ed è così che tra realtà e finzione, vittime e carnefici, si arriva alla conclusione de Le cose di prima, un romanzo a tratti drammatico ma decisamente risolutivo dove “Sono qui, mi dico, e sono vivo”, mentre “Le cose che abbiamo perduto le abbiamo perdute per sempre. L’orologio che ritrovi dietro il cassetto dopo un mese non è lo stesso orologio di un mese fa. Ha perso una parte: quella che voleva liberarsi di te. Perché le cose di prima sono finite. Sono finite. E se sono finite non esistono più”.

Sì, forse aveva proprio ragione Giovanni nell’Apocalisse: “Non ci sarà più sofferenza, lamento, affanno perché le cose di prima sono finite”. Sono veramente finite. Non esistono colpe. Forse tutto è finzione. Ed ecco un nuovo inizio.

Emanuela Stella