recensione Pacchetto Colombo

Pacchetto Colombo di Alessandro De Virgilio è la cronaca di una cocente illusione che compromise le popolazioni del Meridione d’Italia e nello specifico i calabresi. Una storia attualissima di scarsa progettazione, di abbandono e sperpero di risorse pubbliche, da tenere viva nella mente considerato che lo sviluppo del Sud e della Calabria rimane un problema perlopiù irrisolto.

Un centro siderurgico e attiguo porto commerciale a Gioia Tauro, un complesso industriale a Lamezia Terme e un altro a Saline Joniche. Sono questi i tre punti cardine di un fallimento annunciato, causato dalla frivolezza dei programmi di governo e dai contrasti egoistici dell’imprenditoria, raccolto nelle ali di carta del Pacchetto Colombo.

Prendendo il nome dell’allora presidente del Consiglio dei Ministri, il democristiano Emilio Colombo che ne illustrò i punti tra l’ottobre del 1970 e il febbraio dell’anno successivo, il Pacchetto consisteva in una serie di interventi atti a rendere realtà la tanto vagheggiata industrializzazione del Sud e in particolare della Calabria che, all’interno del famigerato piano, avrebbe avuto finanziamenti per oltre mille miliardi da utilizzare per la costruzione di industrie e infrastrutture che oggi, a mezzo secolo dai fatti, nel migliore dei casi consistono in rugginosi esempi di archeologia industriale che sfregiano le coste della regione.

Uno sviluppo fantasma che condiziona il presente della regione

Opere, dalla Sir di Lamezia alla Liquichimica di Saline Joniche, solo auspicate, abortite, mai entrate in funzione, nate già morte e riuscite soltanto nell’obiettivo di strappare immensi spazi all’agricoltura – oltre 1.500 gli ettari di terreno espropriati solamente nella Piana di Sant’Eufemia e in quella di Gioia Tauro.

Una parabola drammatica per la Calabria raccontata nelle pagine di Pacchetto Colombo, il nuovo saggio di Alessandro De Virgilio, appena pubblicato da Rubbettino; un libro che, con dovizia di particolari e una accurata ricostruzione storica e giornalistica, ricompone le trame di una pagina di storia poco ricordata, ma che ha segnato il passato recente e il presente della Calabria.

I Moti di Reggio del 1970

Una illusione che De Virgilio, giornalista professionista e responsabile dell’Agi (Agenzia giornalistica Italia) della Calabria, collega ai Moti di Reggio che agitarono la punta dello Stivale nella seconda metà dell’anno 1970.

L’annuncio della misura volta a levare il popolo calabrese dalle secche della depressione economica giunse, infatti, quando nell’ultimo Sud del Paese, nella città di Reggio Calabria, dilagava la protesta popolare contro la decisione del governo, maturata nell’ambito del riordino delle regioni patrie, di consegnare a Catanzaro lo scettro di capoluogo di regione della Calabria. Una scelta che da Reggio, popolazione civile e classe politica, fu interpretata come un affronto, un autentico sopruso.

Scoppiata a luglio del ‘70, in un’epoca instabile, già condizionata dalla contestazione giovanile e dall’amaro fenomeno dei sequestri di persona che proprio nella provincia di Reggio Calabria vedevano la zona più calda, la rivolta dei “Boia di molla” – come fu chiamata, riprendendo lo slogan di origine probabilmente dannunziana adottato anche dal popolo di Pescara in una analoga ribellione contro l’assegnazione del titolo di capoluogo dell’Abruzzo alla città dell’Aquila – lasciò sul campo cinque vite e passò alla storia per l’eccezionale intervento dei carri armati per le vie della città sullo Stretto, unico caso di impiego militare per ripristinare l’ordine pubblico in una città italiana dopo la Seconda guerra mondiale.

Il flop del Pacchetto Colombo

Il Pacchetto Colombo, da più parti etichettato come un raffazzonato compromesso – e già in tempi immediati tanto che il premier stesso si ritrovò a dover precisare che non si trattava di “affannose rincorse dietro la pressione di rivolte di piazza” –, si rivelò un enorme spreco di denaro pubblico, un flop totale, una irrealizzabile chimera che ha indotto le successive classi politiche e imprenditoriali a non tentare più nell’impresa di portare l’industria pesante in Calabria, proprio per non cadere nell’acquitrino di un fiasco annunciato.

L’unica opera prevista dal Pacchetto partita e tuttora in attività, di fatti, è il Porto di Gioia Tauro, costruito dalla seconda metà degli anni settanta a servizio di quel centro siderurgico mai realizzato.

Tra le pagine di Pacchetto Colombo De Virgilio analizza questa serie di insuccessi ambientati sì in Calabria, ma originati nei palazzi del potere di quell’Italia cui la Calabria pare non appartenere mai fino in fondo.

Il miraggio dell’industrializzazione

L’industrializzazione della regione rimase un sogno e il fallimento del Pacchetto, oltre a tradire le speranze di migliaia di lavoratori calabresi che contavano di potere costruire un futuro nella terra natia scongiurando l’emigrazione forzata, continuò e continua ognora a lasciare penosi strascichi, non solo con la irrimediabile deturpazione di pianure e litorali e la salda riluttanza dell’imprenditoria verso le periferie del Sud, ma anche fornendo linfa agli stereotipi, già comunque in ottima saluta, circa la scarsa operosità dei meridionali.

Pacchetto Colombo è un saggio che riporta alla luce una pagina complessa e poco conosciuta dalle nuove generazioni, dagli stessi calabresi, prime vittime dell’inconsistenza del disegno che avrebbe dovuto far decollare il Meridione e la Calabria che invece, nuovamente, si mostrò al resto del Paese, riprendendo una colorita ed efficace definizione del meridionalista Giustino Fortunato, “uno sfasciume pendulo sul mare”.

Un volume che è frutto di approfondite letture e ricerche negli archivi sia dei giornali che delle istituzioni pubbliche, oltre che di informazioni acchiappate conversando con le persone, con chi ha assistito a quello scempio, a quella illusione generata dalle promesse dei governi che, nella mancanza assoluta di una progettazione seria, si sono rivelate solide come un ghiacciolo a ferragosto.

Antonio Pagliuso