Recensioni: “La casa della poesia” di Nuno Júdice

“Nella casa della poesia ci sono angoli bui,

dove possiamo nasconderci come se non avessimo bisogno

della luce.

Questo è l’estratto iniziale dalla poesia eponima de La casa della poesia, silloge di Nuno Júdice, pubblicata in Italia da I Quaderni del Bardo – casa editrice di Sannicola, in Salento – nella collana di poesia Altri incontri diretta da Laura Garavaglia. La traduzione del libro, primo testo del poeta, edito in patria nel 1972 col titolo di A Noção de Poema, è affidata a Emilio Coco.

La carriera di Nuno Júdice

Nato nel 1949 a Mexilhoeira Grande, piccolo centro in Algarve, nel Sud del Portogallo, Nuno Júdice è stato docente di Letteratura portoghese e francese alla Universidade Nova di Lisbona, addetto culturale dell’ambasciata portoghese in Francia e direttore dell’Istituto Camões a Parigi. Le poesie di Júdice hanno ricevuto in Italia i premi Camaiore, Europa in Versi e, ultimo, nel 2022, il Premio Carlo Betocchi- Città di Firenze.

Quella di Nuno Júdice è una poesia vicina al quotidiano. Le sue liriche parlano di ombre di un tempo andato, nostalgie di giovinezza, interpretazione dei sogni e senso delle parole, temi presentati con un linguaggio accessibile ed elementi comuni a tutti – il cui uso ha proprio la funzione di rendere popolari i componimenti – come una bottiglia di olio, una caffettiera bollente, un pezzo di formaggio, un tozzo di pane, dei sacchi di baccalà.

Oltre alla comprensione dei versi, per il poeta lusitano conta tantissimo la loro musicalità, quella armonia che nasce nell’abbraccio fra una parola e l’altra, parole che si cercano e si trovano.

“[…] e quando arrivo alla fine,

vedo un principio, e so che tutto torna

a unirsi, come se qui non mancasse niente.

Leggendo i versi della graziosa pubblicazione de I Quaderni del Bardo, si scopre anche la volontà del poeta di scoprire cosa sia, nel suo animo più profondo, la poesia, di cosa si nutre e come esplode nella voce dei suoi interpreti, riuscendo, infine, a riflettersi nella vita di chi sa ascoltarla.

“[…] Si tratta di una cosa semplice, che non

ha bisogno di raffinatezze e di formule.

[…] È un fiore di sillabe, i cui

petali sono le vocali, e lo stelo una consonante. Si mette

nel vaso della strofa e lo si lascia stare. Perché non muoia,

basta un pezzo di primavera nell’acqua, che si va

a cercare nell’immaginazione, quando c’è un giorno di pioggia,

o si fa entrare dalla finestra, quando l’aria fresca

della mattina riempie la stanza di azzurro.”

Antonio Pagliuso