Recensioni: “Psicopompo” di Amélie Nothomb

In Psicopompo, Amélie Nothomb ci racconta i momenti più intimi e delicati della sua esistenza, dal suo amore per gli uccelli ai traumi adolescenziali, passando per la capacità di entrare in contatto con chi non c’è più.

Quella raccontata da Amélie Nothomb in Psicopompo, ultimo romanzo della prolifica scrittrice belga, è una storia di mutamenti che comincia almeno 145 milioni di anni fa, da quando un dinosauro concepì “il desiderio delirante di volare”.

Gli studi degli ultimi decenni ce lo hanno confermato: gli uccelli discendono dai dinosauri, più precisamente dai teropodi con cui condividono un centinaio di particolarità anatomiche. I teropodi si sono evoluti durante il Giurassico superiore, grossomodo fra 161 e 145 milioni di anni fa, parecchi milioni di anni prima della grande estinzione di massa del Cretaceo (66 milioni di anni fa circa) che portò all’arcinota “scomparsa” dei dinosauri.

È un viaggio che parte da lontano e vola rapidissimo fino a raggiungere la vita della grande scrittrice, in un libro raramente così tanto autobiografico, da poco uscito per Voland, marchio che da un quarto di secolo propone la sua opera al pubblico italiano.

Nelle pagine di Psicopompo, Amélie Nothomb ci racconta i momenti più intimi della sua esistenza, partendo dalla sua smisurata passione per il mondo degli uccelli, di cui cominciò ad ascoltare il canto fin da bambina, a distinguerli per specie e abilità, ad ammirarli e a immedesimarsi in loro, sentirli come ospiti della Terra di pari dignità degli esseri umani, di contro, invece, così incommensurabilmente distanti dalla pazienza e dal desiderio infiniti che caratterizzano l’evoluzione e il mondo dei volatili.

Parte centrale del volume è il peregrinare continuo per l’Asia che segnò i primi anni di vita della scrittrice. A seguito del padre ambasciatore (a cui Amélie Nothomb ha dedicato Primo sangue, vincitore del Premio Strega Europeo 2022), la famiglia Nothomb è vissuta in Giappone, dove è nata l’autrice nel 1967, Cina, Birmania, Laos e Bangladesh.

Proprio al soggiorno nello Stato dell’Asia meridionale è legata una epifania fatale.

Bangladesh, nazione giovanissima, nata nel 1971, pochi anni prima dell’arrivo dei Nothomb, a seguito della violentissima guerra di liberazione che portò il Paese del Bengala – questo, in bengalese, il significato della parola Bangladesh – all’indipendenza dal Pakistan, a sua volta costituito nel ’47 da una scellerata spartizione di coordinamento occidentale. Alcune analisi stimano in tre milioni il bilancio delle vittime del conflitto che portò alla creazione di un Paese che oggi conta più di 173 milioni di abitanti, con grandissime porzioni di popolazione in condizione di povertà estrema.

Lo era anche cinquant’anni fa, quando la giovanissima Amélie soggiornò in una nazione in cui “morire era la cosa più banale del mondo”, ma circondata di bellezze: le spiagge, la giungla, i lussureggianti giardini del tè – “non c’è niente che assomigli di più all’idea del paradiso”.

Un inferno e un paradiso che vengono messi in secondo piano dalla cesura esistenziale, il kensho, l’evento che divide il tempo di una persona in un prima e in dopo; per la Nothomb la violenza subita, appena dodicenne, durante una delle sue nuotate da cormorano nelle acque del Golfo del Bengala.

“Le mani del mare razziavano quello che era alla loro portata: tutto. […] Qualcosa si spense dentro di me. Nessuno mi vide più fare il bagno da nessuna parte.”

Una esperienza difficile da comprendere, impossibile da spiegarsi a quell’età innocente, di sicuro fautrice di una ferita non rimarginabile e nella carne e nello spirito.

“La violenza delle mani del mare aveva strappato via il guscio, non ero più l’uovo che ero stata. Pulcino senza piume, dovevo acquisire lo status di uccello. Sarebbe stato mostruosamente difficile.”

Psicopompo, lo abbiamo detto, è un libro estremamente intimo: alla “morte” causata dalle mani del mare seguirà un altro baratro, un altro tipo di violenza, esercitata verso sé: l’anoressia in cui precipita la giovane pochi mesi dopo il trauma. Due anni senza toccare cibo, la “vittoria sulla fame” che, come un miracolo, si trasforma in una rinascita. Il lento e torturante cammino per “uscire dalla trappola”, per risorgere, nascere un’altra volta, proprio come quel dinosauro visionario che, prossimo all’evento campale della sua stirpe, riuscì a salvarsi, spiccando il volo.

La passione per il mondo aviario, la rivelazione di un mondo soprano a noi quasi interamente sconosciuto e che pertanto ci affascina, si scioglie nel finale “ultraterreno” dell’opera, declinando il tutto in un volo di resurrezione.

La parte conclusiva di Psicopompo vira sull’attività letteraria di Amélie Nothomb – partendo dal libro d’esordio, Igiene dell’assassino, uscito in Francia nel ’92 – e sulla sua capacità psicopompa, vale a dire la possibilità di stabilire un contatto con chi non c’è più, sia da emittente sia da recettore.

Ornitologa, ossessionata dagli uccelli, capace di volare oltre gli ostacoli della vita, di superare i momenti più bui, anche comunicando con le anime dell’aldilà, Amélie Nothomb ci regala un nuovo affascinante libro in cui partecipare il suo mirabolante mondo.

Antonio Pagliuso