Baci scroscianti, grugnenti, sospirosi, cupi e fruscianti come seta. Cos’è un bacio? Parola al filosofo Søren Kierkegaard.
“Cos’è un bacio?” domandò l’innamorato.
“Un apostrofo rosa tra le parole ‘T’amo’” rispose il poeta.
Questo è con tutta probabilità il passo più famoso del Cyrano de Bergerac, l’opera teatrale del poeta e drammaturgo francese Edmond Rostand (1868-1918).
Il bacio, l’atto da cui tutto comincia, e tutto può finire, è il respiro stesso del tema principale della vita: l’amore. L’amore che a sua volta è il tema dei temi della letteratura, quello che percorre qualsiasi opera, indipendentemente che si tratti di un romanzo rosa, un trattato filosofico o un poliziesco. D’altronde, come diceva il Poeta – questa volta con la maiuscola – non è “L’amor che move il sole e l’altre stelle”?
Attorno al bacio, questo gesto tanto naturale, ma dal significato mai uguale, neppure tra i due innamorati che se lo scambiano, molti autori hanno scritto pagine tra le più sublimi della letteratura; tra questi non si può non parlare di Søren Kierkegaard, il filosofo danese dell’Ottocento che nel suo celeberrimo Diario del seduttore – originariamente una sezione della più ampia opera Aut-Aut – regala ai lettori quello che lo stesso autore definisce un “Contributo alla teoria del bacio”.
Nelle pagine del Diario, Kierkegaard, attraverso la voce del suo alter-ego, il seduttore Giovanni, si lascia andare a una stimolante analisi dell’azione bacio.
“Trattandosi del bacio propriamente detto devono essere attori la fanciulla e l’uomo. Il bacio tra uomini è insipido, o peggio, disgustoso. Io credo inoltre che sia più consentaneo alla natura del bacio immaginare un uomo che baci una fanciulla, anziché una fanciulla che baci un uomo. Quando con gli anni diventa uguale l’uno o l’altro caso, il bacio ha già perduto significato e valore.”
E con queste prime considerazioni ci fermiamo un attimo, consci di quanto a noi benpensanti del 2021 possano apparire scorrette – e ci limitiamo a questo aggettivo ché non vogliamo far morire dalla noia il lettore con troppo moderne parole composte – e altresì consapevoli che Kierkegaard è nato nel 1813 e ha avuto una educazione pietista, una corrente contraria ai dogmi e al protestantesimo e favorevole a un’esperienza religiosa più interiore, quindi più rigida verso se stessi e la morale.
Continua il filosofo danese dicendo che “il bacio deve essere espressione di una certa passione”, che può essere carente se la differenza d’età tra i due amanti è ampia o se ci si avventura in baci incestuosi, ma anche se si tratta di baci scambiati come pegno di gioco o, ancor peggio, se rubati. Va da sé, poi, che se non accompagnato da un pizzico di sentimento il bacio perde del tutto il suo valore.
Kierkegaard conclude con una stuzzicante suddivisione del bacio:
“Qualora poi si voglian dividere i baci in diverse categorie, si può ricorrere a svariati principii di classificazione. Per esempio, si posson ripartire secondo il suono. […] Ve ne sono di scroscianti, sonori, scoppiettanti, grugnenti, schioccanti, sospirosi, attaccaticci, cupi, fruscianti come seta, ecc. ecc. Si può fare una graduazione anche secondo i vari contatti: così vi è il bacio che sfiora appena, il bacio che si dà premendo forte con le labbra, e quello che si dà en passant. – Per un’altra categoria si può prendere a criterio il tempo: quindi baci brevi e lunghi. […] si può fare anche un’altra divisione che propriamente è l’unica che mi vada a genio: cioè la differenziazione del primo bacio da tutti gli altri che vengon poi. Del resto, il primo bacio è anche qualitativamente diverso dagli altri”.
Insomma, una vera e propria lectio magistralis sul bacio con il don Giovanni di Kierkegaard che anela quei sospiri, vagheggia quei baci, consapevole che quando saranno suoi, tutto sarà inevitabilmente perduto perché, da seduttore lucido e folle, tenace e incostante sa bene che “bello è l’amore solo finché duran contrasto e desiderio, dopo tutto divien debolezza e abitudine”.
Antonio Pagliuso
Foto di Jennifer Latuperisa-Andresen da Unsplash