“Medea”, incrocio di sguardi tra Euripide e Corrado Alvaro

“Græcalis” porta in scena Medea, la tragedia di Euripide con la variazione di Corrado Alvaro. Una riflessione ancora verde sulla condizione femminile.

Una tra le più celebri tragedie dell’antica Grecia in un luogo della cultura tra i meglio conservati di quella che fu la Magna Græcia. Inserito nel cartellone degli appuntamenti d’estate di “Græcalis. Il vento della parola antica”, rassegna curata da Teatro di Calabria in collaborazione con il Museo archeologico nazionale di Vibo Valentia – direzione regionale Musei Calabria – diretto da Maurizio Cannatà e l’amministrazione comunale della città calabrese, è andato in scena Medea. Variazioni sul mito, la riduzione di Luigi La Rosa della tragedia di Euripide.

Una Medea sempre moderna

Variazione sì, ma che mantiene accesa la riflessione sulla trista condizione femminile che emerge dall’opera del tragediografo dell’isola egea di Salamina. E questo nonostante i quasi 2500 anni, ben venticinque secoli, che separano la nostra epoca dalla originaria scrittura; un’opera rappresentata per la prima volta al teatro di Dioniso di Atene nel 431 a.C. Una tragedia che tutti conoscono, che in molti, dall’antichità alla modernità, hanno esplorato – Ovidio, Seneca, Pier Paolo Pasolini – e che fa parlare di sé, con dirompente attualità, ancora oggi.

La messa in scena di “Græcalis” – con la presenza del presidente Anna Melania Corrado –, ospitata nel cortile del Castello normanno-svevo di Vibo Valentia in cui ha sede il Museo archeologico, è stata articolata in due momenti distinti: un primo segmento fedele alla scrittura di Euripide; un secondo incentrato sulla visione della tragedia da parte di Corrado Alvaro, tra i maggiori scrittori e intellettuali del XX secolo, che nel 1949, tra le pagine della sua La lunga notte di Medea, spostò l’accento dalla disgrazia del doppio figlicidio di Medea – applicato come vendetta, in risposta all’abbandono subito dal marito Giasone – allo stato della controversa principessa della Colchide, una donna emarginata in una comunità non aperta allo straniero, una donna riscopertasi la più misera “di tutte le creature del mondo”.

In Alvaro affiora il dramma delle donne emarginate

Nella variazione dell’autore di Gente in Aspromonte e Premio Strega nel 1951 con Quasi una vita emerge, infatti, tra le pieghe dell’atroce delitto, il dramma delle donne esuli, costrette ad abbandonare la propria terra e i propri affetti, oppure a rimanervi, da sole, senza marito, senza figli, partiti a causa dei conflitti. Una condizione che trova affinità con la piaga dell’emigrazione che segnò la Calabria e il Sud di Alvaro, al centro di molti suoi scritti.

Vendetta, abbiamo detto: questo è uno dei temi fondamentali della tragedia di Medea, la straniera, la barbara, la maga, la maliarda ingannatrice, che dopo aver condotto alla salvezza Giasone e gli eroi della nave Argo, si ritrova ripudiata dal consorte, promesso in sposo a Glauce, figlia del re di Corinto Creonte, e lanciato verso il trono, e pertanto, accecata dall’ira, “maestra di molte male arti e piena di odio per lo sposo”, si macchia di numerosi omicidi per difendere il suo orgoglio; una serie conclusa dalla eloquente uccisione dei suoi due figli, delle creature uscite dal suo ventre, dell’annientamento della propria carne.

“Più del senno è forte la passione che di gran male è la causa.”

In Medea. Variazioni sul mito magistrali sono le interpretazioni di Mariarita Albanese, Salvatore Venuto e Paolo Formoso – rispettivamente nelle vesti di Medea, Giasone e Creonte – guidati dalla voce di Marta Parise.

Nello spettacolo teatrale risalta con forza l’odio, e quindi l’amore, il dolore, la passione, la furia, l’ossessione dei due già innamorati, o mai innamorati, orgogliosi, ciechi, muti e colmi di infamia e di male, interessati soltanto a procurare dolore all’altro, e così dominarlo, anziché a perseguire la propria felicità.

“Se tu non sei felice io non ho male.”

Una scelta, una attitudine che non appartiene al passato, che tuttora si appalesa nella cronaca di tutti i giorni e fa discutere, ma che di certo rappresenta una condanna eterna all’infelicità sia per chi la subisce sia per chi la compie. “Il dramma è arrivato alla fine. O forse è solo al suo inizio.”

Antonio Pagliuso