Recensioni: “La voce del mare” di Roberto Mussapi

Viaggiatori e isole, navigazioni e naufragi: La voce del mare di Roberto Mussapi è un libro che riporta alla luce vicende reali e mitiche avvenute per mare e per terra, di ossa divenute corallo, di occhi trasformati in perle.

In principio fu il Tuffatore di Paestum, il protagonista dell’inestimabile dipinto raffigurato sulla tomba a cassa del V secolo a.C. rinvenuta nel 1968 in una località nei pressi di Paestum. È lui, nella sua silhouette aerodinamica ocra rossa, il primo navigatore, corsaro e marinaio che ha lasciato il suo mondo alle spalle salpando; è lui il primo uomo a sfidare l’ignoto, lanciato verso l’infinito, l’altrove, l’eterno. E di viaggiatori, navigazioni e naufragi è ricco l’ultimo saggio di Roberto Mussapi dal titolo La voce del mare.

Il pianeta Acqua, affascinante e imperscrutabile

Il libro, edito da Marietti, naviga sulla sommità equorea di quel mondo che appelliamo Terra ma che molto più appropriatamente avremmo potuto chiamare Acqua, dato che per più del 70% la superficie del pianeta che ci ospita è coperta da questo elemento fondamentale. L’Acqua, quindi, con la maiuscola, universo sommerso che genera timore e fascinazione, infido, mai perscrutabile, luogo in cui pure la bonaccia, lo stato del mare calmo e senza venti che già nel nome parrebbe indicare qualcosa di sereno, può rivelarsi un evento ferale e che nei secoli passati ha provocato la morte di interi equipaggi, bloccati per giorni in mezzo alle acque senza viveri: “morte per immobilità e assenza”.

Perché la barca ha senso soltanto in movimento, nella sua presenza, sulla cresta dell’onda, col vento in poppa, diretta verso nuove coste, nuovi porti; perché una imbarcazione che solca gli oceani – che sia essa una nave, un veliero, una barca a vela, un piroscafo, una goletta o un caicco – è metafora della vita e la navigazione, a ben rifletterci su, oltre a essere una impresa di carattere collettivo, esprime “con maggiore potenza la nostra avventura umana nel mondo” e ha intessuto un legame talmente forte con l’uomo tanto che questi si è a essa ispirato per generare numerose espressioni entrate nel linguaggio comune quali “Siamo tutti sulla stessa barca”, “Va tutto a gonfie vele” o “Qualcuno rema contro”.

Avventure per mare e per terra, tra morte e rigenerazione

Ritorniamo sulle pagine del volume di Roberto Mussapi. L’autore – anche conduttore radiofonico e poeta (la sua opera poetica è stata raccolta da Ponte alle Grazie nel volume Le poesie) – cataloga una serie di vicende reali e mitiche avvenute per mare e per terra: sulle isole e negli oceani, luoghi di solitudine e prigionia, di morte e resurrezione, al confine tra aria e acqua; storie magiche e struggenti – indimenticabile quella ovidiana di Alcione e Ceìce che Mussapi ci fa la grazia di ricordare – di vascelli maledetti, mari del Sud e polene sconsacrate, di naufragi, di ossa divenute corallo, di occhi trasformati in perle. Sicché nell’elemento acquatico non andiamo incontro a un annientamento delle carni e dell’anima, ma ci ritroviamo al cospetto di una metamorfosi che nel mare – “sorgente di ogni magia”, che è di tutti proprio perché non appartiene a nessuno – trova il suo altare.

Dall’Odissea all’Isola del tesoro

La voce del mare è un libro che trabocca di riferimenti letterari: chiaramente è citata l’Odissea di Omero, il poema da cui nasce la letteratura di viaggio e di avventura; poi si rivivono le peripezie della Tempesta di William Shakespeare, di Moby Dick e Benito Cereno di Herman Melville, della Ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, dell’Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson.

L’omaggio di Roberto Mussapi a Robert Louis Stevenson

Proprio a Stevenson, autore del celeberrimo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, è dedicato l’ultimo capitolo dell’opera in cui Roberto Mussapi ripercorre la vita avventurosa dello scrittore scozzese. Erede di una famiglia di ingegneri specializzati nell’edificazione di fari, Robert Louis Stevenson nella sua breve esistenza – spirò a soli quarantaquattro anni – vagò a lungo per gli atolli polinesiani in cerca di un clima più salubre che potesse giovare alla sua salute tutt’altro che di ferro – soffriva di problemi ai polmoni; probabilmente tisi o bronchiectasia – e morì al termine del 1894 nel suo villino a Vailima, villaggio a pochi chilometri da Apia, capitale delle Samoa, senza fare più ritorno ai sette colli della natia Edimburgo.

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Una parabola esistenziale che lascia un vago sapore d’incompiuto, nonostante la sterminata opera tra romanzi, racconti e resoconti di viaggio, nonostante l’altrove, l’eterno cui anche lo scrittore, come il Tuffatore di Paestum, è riuscito ad approdare, perché se è vero che l’autentico miracolo sta nel ritorno – ritorno che rende possibile il racconto, perpetua la memoria – è anche vero che, adottando le parole di Melville, “il mondo è una nave al suo viaggio di andata, non un viaggio completo”.

Antonio Pagliuso