Recensioni: “Note sul suicidio” di Simon Critchley

Il suicidio è un fenomeno in crescita e una tematica sempre più ad agio nel nostro quotidiano, eppure non smette di essere considerato un atto immorale e illegale. Perché? In Note sul suicidio (Carbonio Editore), il filosofo britannico Simon Critchley si interroga sulle molteplici sfumature del suicidio svolgendo una analisi storica e attuale di una morte che ci cammina sempre accanto.

Dall’alba dei tempi, ovvero soltanto dai tempi che ricordiamo, di cui abbiamo memoria e tracce scritte, il suicidio è un tema che suscita sensazioni confuse, impaurite, contrastanti; difficile da argomentare, financo da discutervi in maniera lucida senza tentare di eluderlo, eppure oltremodo attraente, così morbosamente affascinante nella sua imperscrutabilità. Un argomento sempiterno e comunque troppo spesso affrontato in maniera superficiale e irrispettosa.

In generale, il suicidio è un atto che genera pubblico sdegno perché visto come un peccato, un’azione proibita sia legalmente sia moralmente. Uno strascico della dottrina cattolica, certo, duro a morire nonostante la profonda crisi delle moraliste e ipocrite religioni occidentali.

Il suicidio, un fenomeno in ascesa

Crisi che però non riguarda affatto i suicidi che dal 2012, da quando gli smartphone e le reti sociali hanno preso il sopravvento rubando a noi colpevoli mammalucchi tempo che non riavremo mai più indietro, sono aumentati, specie tra la sì detta Generazione Z, i giovani nati dopo il 1995, quelli, per intenderci, che hanno digitato i primi sms tra i banchi delle scuole elementari e hanno creato il primo profilo social contemporaneamente al primo bacio o alla prima sega per saltare l’interrogazione di storia.

“Sappiamo che Facebook, Instagram e compagni, influiscono negativamente sul nostro benessere. Sappiamo che dopo lunghi periodi di stimolazione da social media, confusiva e vicaria, il nostro umore peggiora…” In special modo se questo uso tossico delle nuove tecnologie alimenta depressioni già in essere e si combina con alcol e sostanze stupefacenti.

Il suicidio è un fenomeno in ascesa, dunque, eppure continua a essere considerato immorale e illegale. Nel breve saggio dal titolo Note sul suicidio (pubblicato da Carbonio Editore), il filosofo britannico Simon Critchley si interroga sulle molteplici sfumature del suicidio e prova a esaminare il fatto, l’“insano gesto” dal punto di vista di chi lo ha compiuto – prendendo in esame anche suicidi storici (e accettati, che non provocano alcun clamore) come quelli di Socrate e Seneca – o ci è andato molto vicino.

La morte per suicidio ci sta sempre accanto

Perché esso, il suicidio, l’annientamento di se stessi, a ben pensarci, è così prossimo a noi… assai più facile, realizzabile, immediato rispetto all’attesa di una morte per infarto o a seguito di un terremoto di X grado della scala Mercalli o di un incidente aereo o ancora tra le fauci di uno squalo bianco al largo della spiaggia di Briatico o di Santa Maria di Leuca. La morte per suicidio ci cammina accanto, molto più appresso della più astratta e impegnata dama della morte.

Perché luomo teme la morte?

Nelle pagine di Note sul suicidio, si spazia presto dal suicido al tema più generale della morte. Critchley concentra la sua analisi sui retaggi culturali e sul sostrato sociale e religioso che fanno sì che l’uomo paventi la morte, nonostante questa, per definizione, non possa fondarsi su alcuna esperienza, non abbia alcuna attestazione scritta atta a descriverne dolori o conforti.

Secondo l’autore, abbracciando le teorie del filosofo Alberto Radicati, conte di Passerano e Cocconato, se non sono chiare le origini di questo terrore, lo sono i colpevoli, coloro che lo hanno inoculato nelle menti degli uomini: “La paura della morte non è naturale negli esseri umani, ma instillata dall’autorità spuria del rabbino, del prete o dell’imam”. Ma comunque, cercando di evitare una scomunica complessiva, Simon Critchley ci consiglia di non dannarci la vita col pensiero della inevitabile fine; d’altra parte, come sosteneva Epicuro duemila e trecento anni fa – e una concezione che attraversa la storia da oltre due millenni merita, perlomeno, considerazione –, perché arrovellarsi tanto se quando c’è la morte noi non ci siamo e quando ci siamo noi non c’è la morte?

Vivi a ogni costo perché la vita è un dono?

Altra domanda che percorre il saggio è la seguente: le persone dovrebbero restare vive a ogni costo? Mantenersi in vita perché essa è sacra? Che la vita deve essere conservata perché ci viene data, su cui abbiamo diritto di uso ma non di potere, ché tale autorità spetta soltanto a Dio. Ma un dono, una volta consegnato, passato da un paio di mani a un altro, non appartiene a chi lo ha ricevuto? Il dono appartiene al ricevente o ancora a chi lo ha ceduto? “Un dono che non possiamo rifiutare non è un dono” afferma l’autore; “perché sia un dono la vita deve poter essere rifiutata, buttata via, ridonata a qualcun altro, rivenduta per denaro o ceduta”. Posizione estrema, certamente, ma degna di riflessione.

Il suicidio attraverso i messaggi di addio

Simon Critchley prova ad andare oltre l’inibizione, il disagio e i balbettii che spesso accompagnano le discussioni sul tema del suicidio, riportando una serie di messaggi di addio di persone famose e non, intrisi sì di una depressione irreversibile, ma anche di “estremo esibizionismo sadomasochistico”, di narcisismo, d’amore e d’odio, due facce della medesima medaglia: “Nei messaggi dei suicidi, il più intenso odio di sé dà origine alle più radicali dichiarazioni d’amore”.

Ne riportiamo uno, esplicativo per tutti:

“Cara Betty,

ti odio.

Con affetto,

George”.

Amore e odio. Il suicida, nel suo delirio, sovente si ritrova a puntare il dito verso la persona amata, amata e odiata fino alla fine. Vuole punirla attraverso la morte che si provoca, che si “dona” in vece del Creatore. Lo si avverte quasi biascicare qualcosa tipo: “Visto quello che ho combinato? Ora capisci quanto ti ho amato e ti sentirai in colpa, vero? Vero?”.

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Note sul suicidio, tema attuale

In ultimo, Note sul suicidio è pure un pamphlet per riflettere sui temi correnti del suicidio assistito o accompagnato, drammaticamente influenzati dalla dottrina cristiana, da un contesto morale e legale che non permette una discussione laica e pulita su un argomento che va a inficiare la libertà di ognuno di vivere – e non vivere più – la propria esistenza. 

Antonio Pagliuso