Fortunato Seminara, 120 anni fa nasceva lo scrittore del veristico “Le baracche”

Il 12 agosto 1903, centoventi anni fa, nasceva lo scrittore Fortunato Seminara. Nel romanzo Le baracche raccontò le disastrose condizioni di vita delle classi più disgraziate del Sud, le esistenze invisibili di uomini e donne condannati “a macerarsi lentamente”.

Scrittore, giornalista, intellettuale, meridionalista fra i più illustri del Novecento, Fortunato Seminara nasceva centoventi anni fa, il 12 agosto 1903, a Maropati, piccolo centro agricolo della Piana di Gioia Tauro. Nel corso della sua esistenza tessé corrispondenze con molti autori del suo tempo, fra questi Italo Calvino, Leonardo Sciascia e Mario La Cava.

Gli studi e le esperienze all’estero

Figlio unico di Michele Seminara e Pasqualina Nasso, modesti proprietari terrieri di Maropati, Fortunato Seminara spalmò il suo ciclo di studi – tutt’altro che una prassi per un figlio dell’entroterra calabrese dell’epoca – fra Mileto, Palmi, Reggio Calabria, Pisa – al liceo “Galileo Galilei” della città toscana conseguì la maturità –, Roma e Napoli, laureandosi in Legge all’Università partenopea nel 1927. Si sposò, ebbe due figli, ma il matrimonio non durò molto, sicché decise di emigrare.

Fino al 1932 il futuro scrittore soggiornò prima in Svizzera e poi in Francia, carezzando pure la suggestione americana, al tempo, per migliaia di giovani meridionali, più che una possibile alternativa. Rientrato nella natia Maropati, Seminara non esercitò la professione di avvocato, tenendosi distante dalla politica monocolore del Ventennio fascista e dedicandosi completamente alla letteratura. Fu comunque chiamato alle armi nel corso della Seconda guerra mondiale, ricevendo congedo nel 1942. È in quell’anno che avrebbe segnato le sorti dell’Italia intera che Rizzoli diede alle stampe il suo romanzo più conosciuto: Le baracche.

L’opera era stata scritta già nel 1934, ma dovette attraversare quasi un decennio di ostracismo fascista – e pure un rifiuto da parte dell’editore Garzanti – prima di vedere la luce. Le baracche, infatti, non risultava gradito alla censura di regime a causa del suo contenuto che, col crudo verismo di scuola verghiana, metteva in cattiva luce una parte della apparentemente prospera nuova Italia del Duce, la negletta, primitiva e feroce Calabria. 

Le baracche Seminara

Le baracche di Fortunato Seminara

Pubblicato nella collana Il sofà delle Muse diretta da Leo Longanesi, Le baracche è un romanzo sociale e realista, che denuncia le penose condizioni di vita cui erano ridotte larghe fasce della popolazione calabrese nei primi decenni del Novecento, la povertà senza possibilità alcuna di redenzione di “un pianeta lontano e sconosciuto”, tanto al Regno d’Italia, quanto all’Italia fascista e alla susseguente Repubblica italiana. E le marce baracche in cui sono confinati quegli uomini e quelle donne diventano metafora di quella dimenticata porzione del Bel Paese.

“D’estate, il sole batte sulle baracche da mattina a sera e arroventa le lamiere dei tetti; e dentro l’aria stagna calda e nauseante; nemmeno la notte porta refrigerio. Le tavole brulicano d’insetti, e le mosche ronzano a nugoli nell’aria.”

Fra le pagine dell’opera lo scrittore di Maropati descrisse una umanità ai margini estremi della società nazionale, bandita da ogni minima forma di sviluppo, destinata solamente a essere sconvolta, prima vittima dei continui disastri naturali, quali terremoti, alluvioni, smottamenti, ma pure della piaga dell’emigrazione, calamità ambientali e sociali che non permettono alcuna prospettiva futura e contribuiscono a rinvigorire l’atavico fatalismo del popolo calabrese. Genti condannate “a macerarsi lentamente”, abbrutite, astiose e rassegnate a una esistenza senza senso, precaria e scandita dalle ambasce, dai sacrifici, dai dolori. Uomini umiliati e offesi, piegati a un fato ineluttabile.

“In certe ore del giorno il quartiere delle baracche è silenzioso come un cimitero; vi si respira il disfacimento.”

Vivere in Calabria “costa lacrime e sangue”

Ne Le baracche Seminara si fece testimone delle vite “al limite dell’umana tolleranza” – come scrisse Walter Mauro nella introduzione dell’edizione di Grisolia Editore dell’88 – del proletariato calabrese, i dannati della storia; rappresentò veristicamente un mondo abbandonato, invisibile, schiavo del proprio sentirsi subalterno – sentimento così arduamente sradicabile nell’animo calabrese – che sdrucciola impietosamente in quella drammatica condizione di umani, citando Carlo Levi, “senza peccato e senza redenzione” che rende inerti ed estranei dalla società che fugge e sparisce, imprendibile, oltre l’orizzonte.

“Costa lacrime e sangue vivere qui” rispondeva Fortunato Seminara a chi gli criticava una visione troppo arcaica, brutale, vittimistica e senza fuga e senza speranza della vita dei popoli del Sud.

Seminara e gli intellettuali del suo tempo

Di carattere riservato e per tale motivo sempre un passo fuori dai salotti culturali ella Penisola, l’intellettuale mantenne rapporti epistolari con eminenti uomini di cultura del suo tempo. Su tutti Italo Calvino, Leonardo Sciascia, Elio Vittorini e Mario La Cava (dei due scrittori calabresi segnaliamo il volume Mi batterò come un leone in cui è raccolto il loro carteggio lungo più di quarant’anni). Questi scritti e corrispondenze sono conservati presso la Fondazione Seminara, ente nato nel 1994 dall’idea dell’amministrazione comunale di Maropati.

Gli ultimi anni e l’eredità

Per quasi la sua interezza, la vita di Seminara si intrecciò alla storia di Maropati, la sua terra. Vittima di un attentato criminale nella notte di Natale del ’75 – fu appiccato il fuoco alla sua casa di Pescano, contrada collinare di Maropati, distruggendo pure molti libri e lettere –, Seminara sparì dal dibattito culturale nazionale e regionale, mondo in cui le sue presenze si erano fatte già da qualche anno significativamente rare.

Fortunato Seminara si spense a Grosseto, a casa del figlio Oliviero, il 1° maggio 1984. Aveva ottant’anni. Tornò nel paese natale per riposare per sempre nel cimitero locale.

Fortunato Seminara, 120 anni fa nasceva lo scrittore del veristico “Le baracche”

Due giorni dopo la morte, Italo Calvino gli dedicò un articolo su la Repubblica. Nel pezzo, l’autore de Il barone rampante e di Palomar ricordò il carteggio con Seminara e le discussioni letterarie circa i suoi lavori. Nell’opera dello scrittore maropatese, scrisse Calvino, emergeva “un mezzo secolo di storia del profondo Sud e soprattutto gli accenti d’una voce grave e pausata, dal profondo di un’anima ricca di nobiltà e di ritegno”. 

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Di Fortunato Seminara si citano altri testi, taluni pubblicati da grandi editori quali Einaudi e Garzanti: Il vento nell’oliveto (1951), La masseria (1952), Donne di Napoli (1953), Disgrazia in casa Amato (1954, vincitore del premio letterario Villa San Giovanni nel ’56), La fidanzata impiccata (1957), L’altro pianeta (1967) e l’incompiuto L’arca. Alcuni suoi romanzi sono stati tradotti in Gran Bretagna, Cecoslovacchia e Portogallo.

Antonio Pagliuso