Franco Costabile, il pensiero meridiano di un poeta civile

Nel 2024 ricorreranno i cento anni dalla nascita di Franco Costabile, una delle voci più intense e dolorose della poesia italiana del Novecento.

Il 2024 sarà un anno particolarmente ricco di ricorrenze culturali per la Calabria, in maniera specifica nell’ambito della letteratura. L’anno che sta arrivando segnerà i cento anni dalla nascita di Saverio Strati e Franco Costabile, i novanta da quella di Giuseppe Occhiato e i cinquanta e i quaranta anni dalla morte rispettivamente di Francesco Perri e di Fortunato Seminara.

Un oblio che appare un destino inesorabile

Una congiunzione di anniversari che potrebbe rivelarsi occasione propizia, in primis, per riprendere a leggere l’opera di questi grandi letterati nati in Calabria, fra i maggiori del loro tempo, ma che successivamente alla scomparsa hanno traversato lunghi e ingiusti e ingiustificati periodi di oblio, di quando in quando interrotti da una pubblicazione o un convegno di teste bianche e colletti inamidati, sovente incapaci però di invertire una rotta che per taluni scrittori e poeti del Meridione assume le sembianze di un implacabile destino.

Allo stesso tempo, però, è vero che quando incombe una ricorrenza “tonda”, dietro le puntuali celebrazioni si agita sempre un fermento permette di intercettare le attenzioni di un numero crescente di lettori e curiosi. Pertanto, anche per il bene di pochi, ben vengano sempre le celebrazioni, pure quelle che, a ogni latitudine geografica e intellettuale, nascondono – che poi, in vero, sono ben visibili a chi sa vedere e non soltanto guardare – interessi propri, il retrogusto amarognolo e indigesto del tornaconto personale.

Franco Costabile, il male di vivere di un poeta

Un anno, si diceva, pieno di ricorrenze culturali di rilievo che vedrà ricordare una delle voci poetiche più potenti e dolorose della Calabria, quella di Franco Costabile.

Francesco Antonio Costabile nacque il 27 agosto 1924 a Sambiase, centro agricolo della costa tirrenica calabrese dal 1968 fuso, insieme a Nicastro e Sant’Eufemia, nel comune di Lamezia Terme. Scomparso all’età di quarant’anni – suicida il 14 aprile 1965 –, Franco Costabile percorse la sua intera esistenza senza padre, ché il genitore, Michelangelo, uomo di lettere, abbandonò presto lui e la madre Concetta per rifarsi una vita in Tunisia, all’epoca protettorato francese. Una mancanza che, senza infilarsi nelle pieghe di una vita intima troppo strattonata, ne segnò l’intera vita terrena e produzione artistica.

Nella sua breve parabola esistenziale, Costabile riuscì grazie ai suoi componimenti a ritagliarsi uno spazio fra i più importanti esponenti della poesia patria del Secondo dopoguerra; versi che però non furono bastevoli a sanare il suo personale male di vivere.

Franco Costabile, poeta di Sambiase
Uno scorcio di Sambiase. Foto di Antonio Pagliuso

Il cenacolo di intellettuali di Roma

Trasferitosi a Roma immediatamente dopo la fine del Secondo conflitto mondiale, Franco Costabile intessé molteplici rapporti di amicizia con letterati e artisti illustri quali: Giorgio Caproni – che nel 1989, ricordando la tragica fine dell’amico, gli dedicherà la poesia Per Franco Costabile, suicida –, Enrico Falqui, Sergio Saviane, Giuseppe Ungaretti, Raoul Maria De Angelis, Libero Bigiaretti, Giorgio Bassani, Elio Filippo Accrocca, Nanni Canesi, Giuseppe Berto, Leonida Rèpaci, Pietro Citati, Enotrio Pugliese – nome d’arte Enotrio –, pittore che ne realizzò un ritratto ed ebbe a definirlo “il più grande poeta civile della Calabria”.

Conobbe anche Pier Paolo Pasolini, da sempre legato alla Calabria e ai calabresi da sentimenti contrastanti. Da una prima analisi oltremodo sommaria, il poeta e regista non apprezzò la lingua adottata da Costabile nei suoi testi, lungi – all’apparenza – dal dialetto natio e quindi dalla crociata pasoliniana contro il conformismo, la perdita di identità e quindi l’incultura, causati soprattutto dalla diffusione della lingua nazionale, in particolar modo dopo l’arrivo nelle case degli italiani della televisione. Scritti costabiliani che in realtà erano riflesso di un dialetto lirico in cui il parlato diretto si evolveva in poesia, trasformandosi come il ranocchio baciato dalla principessa.

Pier Paolo Pasolini durante le riprese de Il Vangelo secondo Matteo
Pier Paolo Pasolini durante le riprese de Il Vangelo secondo Matteo, girato anche in Calabria. Foto di Domenico Notarangelo – Own work condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 4.0

Il ricordo di Giuseppe Ungaretti e Raffaello Brignetti

Fra le affinità più profonde nate a Roma c’è quella con Giuseppe Ungaretti. Fu col grande poeta ermetico che Costabile costruì un rapporto di fiducia e di mutua comprensione, tanto che dopo l’improvvisa morte lo stesso Ungaretti lo onorò con un pensiero inciso sulla lapide, tutt’oggi visibile nel cimitero di Sambiase:

“Con questo cuore troppo cantastorie / dicevi ponendo una rosa nel bicchiere / e la rosa s’è spenta a poco a poco / come il tuo cuore. Si è spento per cantare / una storia tragica per sempre”.

Altro legame stretto da ricordare è quello con Raffaello Brignetti, scrittore che col poeta calabrese condivideva quel senso di incurabile e ingestibile sradicamento – Brignetti proveniva dall’Isola del Giglio. Proprio a riguardo, in ricordo dell’amico immaturamente scomparso, il vincitore dei Premi Viareggio e Strega, rispettivamente nel ’67 e nel ’71 – a cui Costabile suggerì il titolo del primo romanzo, La deriva – scrisse: “Franco Costabile si era sentito seccare le radici sempre più di anno in anno senza poterne affondare altre. Nella sensibilità di un poeta ciò è abbastanza per significare la fine”.

Le poesie di Franco Costabile

Franco Costabile aveva esordito nel 1950 con la pubblicazione di trentaquattro liriche nella raccolta Via degli ulivi (edita a Siena da Quaderni di “Ausonia”). La seconda opera poetica vide la luce nel ’61: è La rosa nel bicchiere (pubblicata a Roma da Canesi con titolo suggerito dal poeta Libero de Libero), contenente poesie apparse prima su insigni riviste letterarie. Accostata da Raffaello Brignetti alla più conosciuta Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, la silloge prende il nome da una delle più conosciute e struggenti poesie dell’autore.

Altri tre componimenti poetici comparvero nella antologia Sette piaghe d’Italia – nel volume collettaneo sono presenti, fra gli altri, testi di Leonardo Sciascia e Domenico Rea. Fra le liriche del volume edito nel 1964, l’ode civile de Il canto dei nuovi emigranti, per certi aspetti il testamento artistico e spirituale del poeta. Dell’anno della morte le ultime pubblicazioni: alcuni versi inediti usciti su Europa Letteraria, rivista su cui il poeta nato a Sambiase scriveva articoli su mostre d’arte e recensioni delle novità della letteratura francese.

“Un giorno / anche tu lascerai / queste case, / dirai addio, / Calabria infame. / Solo / ma leale / servizievole, / ti cercherai / un’amicizia, / vorrai sentirti / un po’ civile, / uguale a ogni altro uomo; / ma quante volte / sentirai risuonarti / bassitalia, / quante volte / vorrai tu restare solo / e ripeterti / meglio la vita / ad allevare porci.”

Il messaggio della sua poesia

“Il bracciante la sera / si guarda nella bettola / il manifesto del piroscafo / e degli uccelli bianchi. / Lui e il suo cuore / non vanno d’accordo.”

In linea generale, la denuncia sociale distingue le poesie della seconda parte di carriera di Franco Costabile. Versi per la sua terra lontana, amata in maniera tormentosa, versi per le sue radici recise e i vinti della storia, costretti all’emigrazione da una terra marginale, aspra e ingenerosa – “amaro chi ci capita” –, fatalmente isolata e subordinata, mai a capo di un governo, di una terra “senza peccato e senza redenzione” al pari della Lucania narrata da Carlo Levi.

“Noi / vivi / Noi / morti / presi / e impiccati / cento volte / ce ne siamo già andati / staccandoci dai rami, / dai manifesti della repubblica.”

Numerose poesie di Costabile si fondano sulle misere condizioni dei ceti meno abbienti e sulla subalternità della donna:

“Le ragazze / che al feudo / raccolgono le olive / il padrone / se le guarda / a una a una / e promette orecchini / a quella che gli piace”.

Franco Costabile poeta civile Sambiase
Cassa del Mezzogiorno (dettaglio) di Fernando Cimorelli

La Calabria infame e perduta

Come un Giano Bifronte, continuamente proiettato al suo nido – il passato –, il poeta criticava l’indifferenza e le ambiguità dei governi, la scaltrezza dei politici, quale che sia il colore e l’ideologia. Costabile rendeva poesia “un bisogno di giustizia inappagato da secoli”, citando Libero Bigiaretti nella prefazione de La rosa nel bicchiere.

Come scriveva lo studioso Antonio Iacopetta, “Costabile si era identificato nei poveri emigrati del suo paese, nei braccianti che vi erano rimasti, nelle donne che subivano quotidiane violenze, perché sia lui che la madre, a loro volta, erano stati emarginati e aveva subito una violenza”.

Assistente di paleografia all’Università La Sapienza e docente di liceo, a Roma Costabile si sentiva un estraneo, così legato alla sua “Calabria infame”; percepiva la vita nella Capitale come un esilio, anche negli anni più vivaci del boom economico e della cosiddetta Dolce vita.

“Mio sud, / mio brigante sanguigno, / portami notizie della collina. / Siedi, bevi un altro bicchiere / e raccontami del vento di quest’anno.”

Un altro poeta morto suicida

Pure il periodo relativamente sereno fra la fine degli anni cinquanta e i primissimi sessanta era tale soltanto in superficie, in attesa di un ferale avvenimento che potesse riportare il poeta nell’abisso. E l’avvenimento giunse nel ’64 con l’abbandono della moglie Mariuccia, partita per Milano assieme alle due figliole, e ancor più la morte, lenta e straziante, dell’amata mamma Concetta, l’ultima pagliuzza che lo legava al nido di Calabria.

Il poeta si chiuse così in sé, allontanandosi anche dagli amici più cari, si lasciò avviluppare da un profondo stato di abbattimento che lo accompagnò sino al 14 aprile 1965, giorno in cui mise la parola fine alla sua angosciosa esistenza, lasciandosi morire silenziosamente nella sua casa di Roma, quartiere di Montesacro.

Franco Costabile si unì in questo modo a quel gruppo di poeti calabresi accomunati dal destino funesto del suicidio: Lorenzo Calogero di Melicuccà (1910-1961), Michele Rio di Lungro (1920-1965), Domenico Zappone di Palmi (1911-1976).

Una tragedia che, riprendendo le analisi a ritroso sviluppate nel corso degli anni da amici del poeta e studiosi, non fu istantanea, ma lenta, datata, partita dai dolori dell’età azzurra.

Un addio meditato a lungo, ma risoluto, netto, come i righi conclusivi de Il canto dei nuovi emigranti: “Addio, / terra, / Salutiamoci, / è ora”, un estremo saluto, scrisse Saverio Strati, “così teso e insieme così sbrigativo, così tipico dell’uomo calabrese che una volta deciso a compiere un gesto, un’azione, agisce con irremovibile fermezza e senza indugi”.

Un comitato per ricordarne la poesia

Per i cento anni dalla nascita, nella natia Sambiase di Lamezia Terme è nato un comitato, il Comitato celebrazioni centenario Franco Costabile, volto a ricordare e suggellare il pensiero meridiano – citando Franco Cassano – e la ricchezza poetica di una delle voci più intense del panorama letterario italiano del Novecento. Obiettivo del Comitato sarà altresì quello di coordinare i tanti eventi incentrati su un poeta da riscoprire, anche attraverso il passaggio fondamentale della pubblicazione delle sue opere, troppo a lungo fuori dal mercato e in mano a pochi lettori fortunati.

Cassa del Mezzogiorno (dettaglio), Fernando Cimorelli

Antonio Pagliuso