“Romanzo con cocaina”, il libro di autodistruzione dello scrittore-fantasma M. Ageev

Non un libro di formazione, ma il lento racconto di una autodevastazione. Oltre alla storia infernale di un giovane “capace di pensare il bene ma di attuare solo il male”, Romanzo con cocaina racchiude in sé il mistero insoluto legato all’identità del suo autore senza volto: M. Ageev.

Un mistero che arriva da Costantinopoli

È l’anno 1934 quando a Parigi, nella sede della rivista Čisla – uno dei tanti periodici russi fondati nella capitale francese dagli esuli che hanno abbandonato l’Unione Sovietica a causa della Rivoluzione –, giunge uno strano plico. Il pacchetto contiene un manoscritto e proviene da Costantinopoli, da poco ribattezzata Istanbul dalla neonata Repubblica di Turchia.

Il testo, scritto in russo, reca un titolo a dir poco suggestivo – Роман с кокаином, Romanzo con cocaina – e una firma che le indagini condotte nel corso del tempo non attribuiranno mai a nessuno: M. Ageev.

La vicenda editoriale di Romanzo con cocaina

Chi è questo M. Ageev? I redattori di Čisla se lo chiedono da subito, avviano le prime timide ricerche, frattanto che il romanzo comincia a uscire a puntate sulla rivista. La pubblicazione del periodico, però, cessa improvvisamente – ragioni economiche, pare –, lasciando a metà il testo. In pochi ci fanno caso.

Nel 1936, poi, un editore russo stabilitosi a Parigi, entra in possesso del manoscritto e lo pubblica integralmente in unico volume. Si tratta di una edizione in tiratura assai limitata che raggiunge uno sparuto numero di lettori. Passano pochi anni e in Europa scoppia la Seconda guerra mondiale. Il discorso di Romanzo con cocaina si perde di nuovo, dimenticato anche da quei pochissimi che vi si sono imbattuti.

Spesso, però, i libri riescono a tracciare delle traiettorie impensabili, a trovare delle strade inimmaginabili per noi umani e d’un tratto, nel 1983, quasi mezzo secolo dopo l’arrivo del manoscritto sulle scrivanie della redazione di Čisla, il romanzo del misterioso M. Ageev riemerge dall’oblio. Una copia della prima edizione del ’36 affiora da una catasta di libri usati su una bancarella lungo la Senna, finisce nelle mani giuste e approda nella sede di un editore, l’Éditions Belfond, che la ridà alle stampe.

Un anno dopo arriva la prima traduzione italiana: Romanzo con cocaina esce sia per Mondadori – nella collana I libri della Medusa – sia per l’editore e/o. Per la pubblicazione in Unione Sovietica bisogna attendere fino al 1989, quando il testo appare sulle colonne della rivista letteraria pubblicata a Riga Daugava.

“Romanzo con cocaina”, 1936 M. Ageev
Copertina della prima edizione del 1936.
Foto di Издательская Коллегия Парижского Объединения Писателей – http://vnikitskom.ru/lot/?auction=68&lot=361 di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Una vicenda editoriale movimentata che ha riacceso di continuo l’interrogativo sull’identità ignota di M. Ageev. Circostanze che nei decenni hanno conferito un fascino maledetto al romanzo. Ci torneremo fra poco.

Il romanzo

Giungiamo alla storia raccontata nelle pagine di Romanzo con cocaina.

Siamo nella Mosca che ribolle placidamente prima dell’esplosione rivoluzionaria del 1917. Sotto il “liquefatto cielo moscovita” si trascina la giovane miseranda vita di Vadim Maslennikov. Studente universitario con scarso profitto e sconfinata presunzione – si reputa un “futuro giurista, futuro utile e stimato membro della società” –, bevitore per non apparire un rammollito con gli amichetti, sifilitico e untore senza rimorsi, il protagonista di Romanzo con cocaina gironzola per le vie della città guardando con ripugnanza le prostitute che vogliono spillargli un pugno di rubli e cercando di sedurre qualche ragazza di buona famiglia più per autocompiacimento che per qualche confusa spinta sentimentale.

“E, finalmente, l’arresto e la fine di tutto, e la certezza (che ogni volta come fosse nuova) che le grazie dei corpi femminili che eccitano la sensualità sono solo odori di cucina: ti stuzzicano, quando hai fame, ti nauseano, quando sei sazio.”

Sono tanti gli aggettivi che si inanellano e accatastano su Vadim Maslennikov nel corso della lettura: collocato ai margini della società, il ragazzo si presenta come un contraddittorio moralista, intransigente calvinista nei principi, orribilmente dissoluto nella condotta. Abietto, narcisista, borioso, sadico, crudele fin nel midollo, Vadim pare autoassolversi da ogni vizio, tentando di difendere la sua inquinatissima verginità.

Paesaggio moscovita di inverno.
Foto di ekarplyuk da Pixabay

Il rapporto madre-figlio

Filo rosso che avvolge il romanzo è il disastroso rapporto fra madre e figlio, una mamma che viene letteralmente calpestata, vilipesa, vista dalla carne della propria carne come l’essere più disgustoso e miserabile sulla faccia della terra: “vecchia, derelitta e patetica”, “spaventapasseri in gonnella”, sono soltanto alcuni degli epiteti che Vadim riserva alla sventurata madre, per cui è impossibile possa provare la minima compassione – sentimento intollerabile per lui –, odiata probabilmente perché, mettendolo al mondo, essendo lei ad avergli dato, fisicamente, in un trionfo di sangue e liquido amniotico, la vita, lo ha umiliato. Ed è forse da collegare a questa umiliazione indelebile, ancestrale, la ragione più profonda dei pensieri malvagi che straziano la mente del ragazzo.

“Quei pochi rubli, che in un mese raggiungevano la quarantina, pesavano parecchio sulla vita di mia madre. […] quando aveva soldi me li dava con gioia, e io li prendevo con l’aria di chi ritira in banca solo qualche spicciolo […] Non mi sforzavo neanche di nasconderle la mia vergogna per i suoi vestiti laceri […] e incontrandomi una volta o due per strada, sorridendomi con quel suo sorriso buono, che sembrava scusarmi, guardava da un’altra parte, per non costringermi a rivolgerle un saluto o ad avvicinarmi a lei.”

Le influenze dostoevskiane di Romanzo con cocaina

Nello sviluppo della storia e dei tratti del protagonista e voce narrante della vicenda, si incontrano chiare influenze dostoevskiane. Vadim Maslennikov adotta e talvolta esaspera varie caratteristiche dell’uomo del sottosuolo e, soprattutto, del Rodion Raskol’nikov di Fëdor Dostoevskij.

Anche la donna che riesce a smuovere un qualche sentimento nel giovane studente, sua potenziale ancora di salvezza, porta il nome di Sonja. A differenza della povera meretrice che conduce alla redenzione Raskol’nikov in Delitto e castigo, però, la Sonja di Maslennikov taglia i ponti con il ragazzo non appena comprende la sua nocività, la potenza distruttiva della sua anima malata, la sua egoistica volontà di ricercare, attraverso un contatto con l’altro sesso, l’affermazione di sé.

Per Sonja – al cui incontro è incentrata la seconda delle quattro parti del romanzo –, Vadim sviluppa un amore fulmineo e febbrile, un intreccio su cui il giovane ragiona e sragiona, talvolta scivolando nel delirio e aprendo corridoi di psicologia sentimentale e sessuale, oltre i tabù e i silenzi, oltre le maschere e gli infingimenti così propri della tematica.

Le riflessioni, in effetti, sono una costante del libro: Maslennikov rimugina profondamente, dentro sé, sullo scontro e la scissione fra sensualità e spiritualità, sulle differenti percezioni e valutazioni e conseguenze delle azioni d’amore, siano esse compiute da un uomo o da una donna. Sono riflessioni che però non portano a nulla perché Vadim Maslennikov è il classico personaggio letterario “capace di pensare il bene ma di attuare solo il male”, votato sempre e soltanto alla soluzione più vile, che dà “prova di una vocazione autodistruttiva, di una predilezione per l’errore, e infine di una compassione che arriva sempre troppo tardi”, come afferma Ernesto Valerio nella postfazione del romanzo oggi pubblicato da GOG con la traduzione di Vittorio Bonino.

“Romanzo con cocaina”, libro M. Ageev

La cocaina, finalmente

Conclusa la goffa e fallimentare liaison con Sonja, il protagonista del romanzo si ritrova divorato da una nuova devastante passione, in agguato dal principio e attesa, come fossimo noi in crisi di astinenza, già belli e pronti con un deca arrotolato nel taschino, per tutta l’opera: la cocaina.

“E tutto mi è diventato chiaro quando provai per la prima volta la cocaina.”

Di colpo, dopo la prima magica sniffata, la vita di Vadim, quasi a presagire la sorte che avrebbe avuto il romanzo, viene ricoperta dalla nebbia; una fittissima nebbia – o, se preferite come immagine, una slavina di cocaina – da cui il protagonista, fisicamente felice e disperato al contempo, rispunta soltanto per vedere un’ultima volta la luce – una abbagliante, rivelatrice luce –, ovverosia consegnarsi alla morte, nell’indifferenza sua e della società, dei peggiori e dei migliori della storia, da una parte l’umanità ragionevole, fredda, ipocrita e passiva, dall’altra l’umanità passionale, nobile, attiva e assassina.

L’enigma M. Ageev

Con la nuova pubblicazione, negli anni ottanta il libro diventa un mezzo cult. Allo stesso tempo si riaccende la caccia allo scrittore senza volto, ma senza alcun risultato concreto se non la creazione di congetture di ogni tipo.

Lydia Chweitzer, curatrice dell’edizione francese dell’83, ha provato a tracciare un profilo verosimile dello scrittore del mistero. Russo ebreo di nascita, probabilmente, emigrato dopo la Rivoluzione in Turchia, fra le mete favorite dell’emigrazione russa a seguito dell’ascesa al potere dei bolscevichi. Quasi certo l’utilizzo di un nom de plume, che farà la sua comparsa un’altra sola volta, sempre negli anni trenta e sempre a Parigi, in calce sul manoscritto del racconto Un popolo tignoso – o Un lurido popolo –, apparso sul periodico Vstreči.

Nabokov oppure Levi?

Per molto tempo è stata calda la teoria, oramai fragilissima, di un giovane Vladimir Nabokov – a cui, fra l’altro, il romanzo non piaceva affatto – nascosto dietro lo pseudonimo. L’ipotesi è stata nettamente smentita nell’86 da figlio dell’autore di Lolita, Dmitri Nabokov, nella nuova prefazione de L’incantatore (novella di Vladimir Nabokov edita la prima volta nel ’39), che ha indicato come possibile identità di M. Ageev quella di un non meglio identificato Mark Lazarevich Levi, nato a Mosca nel 1898 e scomparso nel 1973 a Erevan. Risicatissime generalità per un soggetto dal nome anonimo, banalissimo, da macchietta, come un Mario Rossi qualunque, ma tant’è.

A oggi, la tesi di Mark Levi come scrittore di Romanzo con cocaina è la più accreditata, in specie dopo il ritrovamento, alla fine degli anni novanta, di alcuni fogli contenenti delle parti abbozzate del romanzo e delle lettere fra il Levi e un editore con cui era in trattativa per la pubblicazione dell’opera. Pare, inoltre, che una ricerca svolta sulla biografia dell’enigmatico uomo ne abbia rintracciato i vecchi compagni di ginnasio, aventi – e sarebbe una coincidenza davvero sbalorditiva – i medesimi cognomi degli amici di Vadim Maslennikov.

Un viaggio da incubo

La parola fine al mistero dell’autore di Romanzo con cocaina comunque non è ancora giunta ed è auspicabile che mai giunga, per non sfittire la affascinante nebbia che avviluppa il libro da oramai novant’anni. Romanzo di distruzione, di decomposizione, Romanzo con cocaina è un viaggio da incubo all’interno della propria coscienza, un itinerario tormentoso verso il totale annientamento di sé.

Foto di John_Nature_Photos da Pixabay

Antonio Pagliuso