Nella seconda metà degli anni sessanta, Giorgio Scerbanenco si consacra maestro del giallo italiano. La morte lo coglierà nel 1969, all’apice di un successo che sarà sublimato da alcune fortunate trasposizioni cinematografiche postume.
Un autore da oltre cento romanzi scritti in vita, fra giallo, rosa, western, fantascienza e anche di destinati ai ragazzi, uno scrittore famelico, capace di scrivere ovunque, pure “nelle condizioni meno confortevoli”, come scrisse in un racconto autobiografico del 1958.
E di condizioni tortuose Giorgio Scerbanenco ne ha traversate molte. Nato a Kiev il 28 luglio 1911 da mamma italiana e padre ucraino, un insegnante di latino e greco caduto nel corso degli anni della Rivoluzione, Giorgio Scerbanenco (all’anagrafe Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko), si trasferisce nel Paese natale della madre in tenera età, prima a Roma e poi a Milano, la città che ne influenzerà la carriera letteraria.
Giorgio Scerbanenco, maestro del poliziesco italiano
Paragonato a Georges Simenon da Oreste del Buono, giornalista, traduttore, critico letterario e suo massimo apprezzatore, Giorgio Scerbanenco ha rivoluzionato il genere giallo e oggi è considerato il maestro indiscusso del poliziesco italiano.
Nei primi anni trenta, subito dopo l’inaugurazione de “Il Giallo Mondadori” – una collana così determinante per la diffusione della narrativa gialla in Italia tanto che il colore andrà a identificare il genere nel Bel Paese –, Scerbanenco comincia la sua collaborazione come redattore per Rizzoli e Mondadori, su segnalazione di Cesare Zavattini che per primo ne intercetta il talento.
A quegli anni risalgono i suoi primi scritti, sovente sotto pseudonimo, ma il primo romanzo vede la luce nel 1935; è Gli uomini in grigio, pubblicato a puntate dalla primavera all’autunno di quell’anno campale per l’Italia con l’invasione dell’Etiopia e lo scoppio della guerra che porterà alla creazione dell’Africa Orientale Italiana.
La censura fascista
Comincia col disastro della campagna d’Africa la parabola discendente del Fascismo che tocca ogni settore della società, incluse l’editoria e la cultura. Nel ’42, infatti, il regime stringe le maglie della censura sulla produzione di gialli in Italia. Sono introdotte regole più rigorose cui scrittori e editori devono attenersi, sono ritirate le copie dei romanzi ritenuti “sconvenienti”, quelli che, ad esempio, ambientano le loro trame noir in Italia – scelta proibita dalla propaganda fascista, perché poteva risultare pericolosa per le giovani leve fasciste mostrare un Paese in cui avvenivano delitti e furti e in cui, in generale, la criminalità poteva rappresentare una realtà.
A rischio di essere bollata come antieducativa nonché esterofila, dato che seguiva i passi di un filone letterario sorto nella cultura anglosassone, la letteratura gialla risente di un brusco arresto, sicché le case editrici diminuiscono o financo cessano le pubblicazioni e molti autori cominciano a scrivere di altre tematiche, mettendo da parte delitti, sangue e detective.
Scrittore poliedrico e la consacrazione a signore del giallo
Nonostante avesse già da tempo adottato l’escamotage di ambientare gli intrighi dei suoi libri – parliamo della serie di romanzi, composta fra il ’40 e il ’43, con l’archivista-ispettore Arthur Jelling – negli Stati Uniti d’America – una scelta visionaria considerato che contro la nazione al di là dell’Atlantico l’Italia fascista si troverà avversaria durante la Seconda guerra mondiale – anche la vena di Giorgio Scerbanenco viene contenuta dalla censura e lo scrittore si ricicla come giornalista per il “Corriere della Sera”.
Il regime però ha le ore contate. Alla caduta del fascismo, lo scrittore ripara in Svizzera dando vita ad alcuni romanzi di genere rosa, non disdegnando di contaminare le opere con vigorose spruzzate di giallo.
Nei vent’anni successivi alla fine del Secondo conflitto bellico, Scerbanenco è un autore e giornalista come tanti, ma è nella seconda metà degli anni sessanta, in quello che sarà lo scorcio finale della sua esistenza, che si afferma maestro del giallo italiano.
Duca Alberti, l’eroe letterario di Scerbanenco
Suo colpo letterario è la stesura della quadrilogia con protagonista Duca Alberti, quattro opere che vengono diffuse a partire dal 1966 con Venere privata, primo titolo della serie. Seguiranno Traditori di tutti, I ragazzi del massacro e I milanesi ammazzano al sabato. Si contano, in aggiunta, almeno altri tre romanzi rimasti incompiuti.
Duca Alberti è un ex medico, radiato dall’ordine con l’accusa di avere praticato l’eutanasia a un’anziana. Una decisione che gli costa tre anni di galera in una città, Milano, che inizia a essere inquinata dalla dilagante criminalità, non più tenera e di livello locale, ma violenta e di caratura oramai internazionale, dedita allo spaccio di droga e ai ricchi assalti alle banche e ai furgoni portavalori.
La Milano nera degli anni sessanta
Per tramite del suo investigatore, Scerbanenco racconta con veridicità il cuore fosco di Milano alla vigilia della tragica stagione degli Anni di Piombo, una città già cosmopolita e irrimediabilmente guastata dalla violenza, in cui la feroce realtà supera la più audace fantasia, seppur in molti non se ne siano ancora resi conto.
Milano si rivela un perfetto luogo criminale, in cui i personaggi di Scerbanenco si muovono come predestinati al male, come scrive Luca Crovi nel saggio Storia del giallo italiano: “tutti vittime della società che li circonda, animali braccati violentemente dal destino e sperduti in una specie di enorme labirinto senza via d’uscita”.
Scrive Scerbanenco in Traditori di tutti: “C’è qualcuno che non ha ancora capito che Milano è una grande città […] Si dimenticano che una città vicina ai due milioni di abitanti ha un tono internazionale, non locale; in una città grande come Milano, arrivano sporcaccioni da tutte le parti del mondo e pazzi, e alcolizzati, drogati, o semplicemente disperati in cerca di soldi che si fanno affittare una rivoltella, rubano una macchina e saltano sul bancone di una banca gridando: ‘Stendetevi tutti per terra’, come hanno sentito che si deve fare”.
Frasi che magari oggi cadrebbero sotto gli attacchi della censura mascherata da liberalismo del nostro secolo, ma che nella seconda parte degli anni sessanta furono in anticipo sui tempi sulla cronaca che avrebbe segnato l’Italia nei decenni seguenti.
Le fortunate riduzioni cinematografiche
Dalle opere dello scrittore sono state tratte varie trasposizioni cinematografiche – soprattutto attingendo dal più letto ciclo di Duca Alberti –, pellicole alla base di molta produzione letteraria e filmica degli anni a venire.
I più conosciuti sono usciti nel 1972 grazie alla regia di Fernando Di Leo: La mala ordina e Milano Calibro 9, con protagonista un indimenticabile Gastone Moschin e tratto da un racconto contenuto nella raccolta omonima.
Negli ultimi giorni del 1969 Di Leo aveva firmato anche il primo adattamento cinematografico dei romanzi di Giorgio Scerbanenco, I ragazzi del massacro, ma così come tutte le altre, anche questa primissima trasposizione lo scrittore di origini ucraine non poté guardare, ché la morte lo colse il 27 ottobre 1969. Causa del decesso un arresto cardiaco.
L’anno precedente aveva ottenuto grazie a Traditori di tutti il prestigioso Grand Prix de littérature policière, quale miglior romanzo straniero.
Scerbanenco, instancabile “fabbricante di storie”
Dal noir al mystery al poliziesco, sono circa cento i romanzi scritti da Scerbanenco in vita, migliaia i racconti, taluni ancora inediti; un autentico “fabbricante di storie”, come titola una biografia scritta dalla figlia Cecilia e uscita per La Nave di Teseo, casa editrice che ha in pubblicazione tutti i romanzi dello scrittore. Cecilia Scerbanenco è anche fondatrice e responsabile degli archivi del padre, donati alla Biblioteca comunale “Bruna Lizzi De Minicis” di Lignano Sabbiadoro (UD).
Dal 1993 esiste anche il Premio Scerbanenco, il maggiore fra i premi letterari dedicati al noir in Italia, assegnato ogni anno nell’ambito del Noir in Festival.
Foto di Gloriettina – Opera propria condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 4.0
Antonio Pagliuso