Intenso, autentico, originale nel linguaggio, Della Grecìa perduta, edito Rubbettino, è l’ultimo romanzo di Ettore Castagna, sequel di Del sangue e del vino, pubblicato nel 2016.
La narrazione s’incentra su Nino u selenotu, che, come scrive l’autore, dormì nel vino novantanove anni, due mesi e diciassette giorni, prima di tornare alla vita per via di un sortilegio.
“Le anime delle rocce ti hanno voluto redivivo, ché troppo giovane te ne eri andato e allora ti hanno rallentato il cuore. Forse. Il sangue ha girato piano… Dormivi, dormivi, pareva che dormivi… T’è restituita vita a patto di camminare, andartene, uscire da questa valle.”
Così inizia il peregrinare di Nino che percorre le Calabrie passando per la città di Riggiu col suo immenso castello, per l’Aspromonte, per Melìtu, per la Catuna, per Bagnara, Sant’Eufemia, Cosoleto, Acquaro, Santa Cristina, Zervò, Platì, Amudìa, fino ad arrivare a Pizzo. Qui la storia s’incrocia con la fucilazione di Gioacchino Murat.
“Marina di Pizzo, ore 11.30 circa di domenica 8 ottobre 1815, il capitano Gregorio Trentacapilli, che per un capriccioso gioco del destino si trovava in vacanza a Pizzo, incita la truppa borbonica e la popolazione a catturare Murat nel nome di Ferdinando IV… Ecco Gioacchino Murat all’ore 18 d’Italia in mano a un branco di aggressori al numero di due mila, tutti della plebe…” La fine di Giacchinu Cavaliere è inevitabile, gli si concede un ultimo desiderio, bere una tazza di latte di capra, prima dell’esecuzione al grido “Signori mirate al petto, risparmiate il volto”.
Il racconto dello scrittore è particolareggiato, ricco d’immagini, a volte magico, inchioda il lettore al testo per unire i fili di una trama intricata e ricostruire tra finzione e realtà frammenti di storia catturati tra le righe. Non manca la poesia nella descrizione dei paesaggi di una Calabria che incanta al solo guardarla.
“È ben soffice l’alba sul Tirreno perché il sole non spezza il mare. Quella frazione di cielo che, sopra di lui, si resta in sonno. Il sole diffonde chiaro da dietro la montagna, arriva dalla parte dei greci, comincia a cantare nell’indaco e nell’arancio dell’aurora sullo Jonio. Svetta dalla parte del Tirreno che il giorno è maturo.”
Non mancano pure i personaggi pittoreschi: ZiMimma, da piccola Mimmareja per tutti, il Dragumeno, Don Mario, Ulucciu Alì, mastro Rocco, l’eremita.
Della Grecìa perduta ha il sapore di una fiaba arcaica in cui il cammino incessante diviene metafora della vita, ricerca mai paga, tensione verso un divenire che si staglia su un passato mai sopito passando per un presente immaginario. Ci mancano le figure evocate e create dallo scrittore, le scene raccontate, i luoghi pennellati, non appena chiudiamo l’ultima pagina, segno tangibile che il romanzo ci è entrato dentro o noi siamo divenuti irrimediabilmente parte della narrazione per restare sospesi tra un rigo e l’altro in attesa chissà che Ettore Castagna completi la trilogia regalandoci altro racconto. Ma “niente è certo al mondo”. È lui stesso a dircelo nella nota di chiusura al testo.
Daniela Rabia