Rileggere Natalia Ginzburg a 30 anni dalla morte

I suoi primi scritti furono stroncati da Benedetto Croce perché poco interessanti. Nel 1963, dopo aver traversato i drammi del Secondo conflitto mondiale e le difficoltà del dopoguerra, vincerà il Premio Strega con Lessico famigliare. Riscopriamo e rileggiamo Natalia Ginzburg a trent’anni dalla morte.

“La Ginzburg in due parole? Non era mondana, non era pettegola, aveva qualcosa di adulto e di severo che la differenziava dagli altri scrittori italiani”. Questo il profilo delineato da Antonio Dibenedetti sul “Corriere della sera” del 2 maggio 2016, in occasione del centenario della nascita di Natalia Ginzburg, la scrittrice e intellettuale nata a Palermo il 14 luglio 1916 e morta a Roma nella notte tra il 7 e l’8 ottobre 1991, esattamente trent’anni fa.

Un tratteggio che ricorda vagamente gli accenti del delicato racconto che la stessa Ginzburg fece di Cesare Pavese in Ritratto di un amico, fra le cui righe imprime, più che lo scrittore, il ricordo vivo dell’uomo e della sua lezione umana.

Senz’altro di forte ispirazione per la donna e per la scrittrice fu anche il primo marito, Leone Ginzburg, che compare in Inverno in Abruzzo, anch’esso afferente all’antologia di racconti e saggi Le piccole virtù: un ricordo dei mesi vissuti al confino con quell’uomo ammirevole e pacato che scriveva al tavolo ovale della stanza da pranzo, in un tempo che l’autrice definisce con rimpianto come il migliore della sua vita.

Natalia Ginzburg, gli esordi 

Natalia Ginzburg (nata Levi) tenta un primo esordio in gioventù inviando alcuni scritti a Benedetto Croce, che peraltro la stroncherà non trovandovi nulla di interessante. Ma scrivere è quello che sa fare, come poi dirà ne Il mio mestiere, e desiderosa a ogni modo di cimentarsi nella scrittura si mostra all’inizio timorosa di rivelare tutti i difetti propri della sua natura di donna, come il sentimentalismo e la mancanza di obiettività in determinata circostanze. Con il tempo questa esigenza cambierà: la condizione di donna deve essere accettata dalla scrittrice, in quanto aspetto intrinseco imprescindibile. La sua carriera si evolverà poi verso il teatro e i racconti epistolari.

Rileggere Natalia Ginzburg a 30 anni dalla morte
Casa di via Pallamaglio, oggi via Oddino Morgari, San Salvario, Torino. (Foto: Caterina Anania)

Il grande successo di Lessico famigliare

Singolare è la genesi del suo romanzo più celebre, quel Lessico famigliare che la consacrò vincitrice del Premio Strega 1963. Dopo aver scritto dell’incontro e delle vicende coniugali con il secondo marito Gabriele Baldini nel racconto Lui e io, la Ginzburg abbandona le storie degli altri per dedicarsi alla narrazione della famiglia di origine, i Levi, stilando inizialmente un elenco di frasi e parole bislacche, note solo a lei e ai fratelli che, pur nella distanza dello spazio e del tempo, come fedeli a un codice segreto, nel risentirle li avrebbero ancora resi complici.

Il racconto diventa un romanzo vero e proprio, che si dipana senza seguire un ordine cronologico, ma con un tono discorsivo, come raccontando episodi legati a quelle espressioni buffe e ricche di comicità, in cui centrale è la figura del padre Beppino, severo e risoluto a educare i figli affinché non crescessero come dei sempi e non compissero negrigure e malegrazie. Gli fa eco la moglie, la freddolosa Lidia che pure si presta a fare le corroboranti docce gelate consigliate dal marito, sempre pronta a uscire per andare dalla Frances o per una visita all’ultimo dei nipoti (“Vado a trovare il ferroviere”).

Il romanzo prende corpo a misura che i figli crescono e il periodo storico si infervora: vi compaiono tutti quei personaggi che fecero grande la cultura torinese del Novecento, il sodalizio con Pavese e con la famiglia Einaudi, gli antifascisti Turati e lo stesso Leone Ginzburg, la nuova borghesia imprenditoriale nella figura di Adriano Olivetti. Dunque Natalia Ginzburg non scrive un’autobiografia, ma una cronaca familiare, scevra di sentimentalismi e di retorica spicciola, volta a cogliere la comicità delle situazioni e i tratti caratteriali di ciascuno, senza nulla inventare, rimanendo testimone e mai diventando personaggio, instillando nel lettore complice la malinconica e consolante ricerca, andando indietro con la memoria, di quello che fu il suo lessico famigliare.

Caterina Anania

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