La letteratura del Diavolo, dalla Genesi a Woland

La notte precedente a Halloween è da sempre chiamata la Notte del Diavolo. E noi, assolutamente lontani da una visione religiosa, vogliamo “celebrarlo” ricordando la sua figura divisiva (dal greco Diàbolos, colui che divide), ingannatrice, ribelle e tentatrice che ha determinato il successo di alcuni dei più grandi capolavori della letteratura.

Il Diavolo nella letteratura

Il Diavolo, per le peculiarità or ora accennate, ha un potere arcano su di noi, forse perché, superfluo nasconderlo, rappresenta un’immagine speculare dei vizi e della corruzione umana. Inutile negare che senza il nostro Diàbolos, oggi non avremmo avuto il piacere di viaggiare su una scopa con Margherita o di ammirare il ritratto di Dorian Gray o ancora di calarci nei panni del Faust di Marlowe o di Goethe.

Che sia Mefistofele, Belfagor, Azazel, Woland, sono tanti i nomi con cui nei secoli, fin dalla notte dei tempi, il Diavolo ha voluto presentarsi nel mondo per generare caos e distruzione anche se, il Diavolo in letteratura, resta quasi sempre nell’ombra, rivelandosi di rado.

I primi Diavoli su carta

La sua prima apparizione narrativa risale certamente ai tempi delle Sacre Scritture quando nella Genesi veste i panni di un serpente per tentare Eva, per indurre in peccato l’uomo, che, per invidia del Diavolo, fu condannato insieme alla sua stirpe alla caducità. E, ancora, lo ritroviamo nei Vangeli, dove con i suoi modi subdoli e insidiosi proverà a tentare Gesù nel deserto. Infine, nell’Apocalisse di Giovanni dove il Diavolo viene raffigurato come una bestia, un drago con sette teste e dieci corna che sale dagli abissi.

Dalla Bibbia passiamo a un’altra opera monumentale. Siamo nel Trecento e nella Divina Commedia troviamo la nostra Stella del Mattino, Lucifero, a testa in giù nei ghiacci del fiume Cocito. Il poema dantesco è sicuramente più incentrato sul regno di Satana che su Satana stesso.

Dante riprende la tradizione medievale secondo la quale Lucifero, l’angelo più bello e luminoso di ogni creato, ribellatosi a Dio fu scacciato dall’arcangelo Michele al centro della Terra, la quale, disgustata dal contatto con Lucifero, si ritrasse dando origine alla voragine infernale. Nell’Inferno dantesco, Lucifero è rappresentato con tre bocche, in ognuna delle quali mastica i tre più grandi traditori della storia: Bruto, Cassio e Giuda, quest’ultimo ulteriormente graffiato e scuoiato sulla schiena dagli artigli del demonio. Collocato nel IX cerchio, Lucifero, per Dante, punisce ed è punito tra i traditori.

Il canto IV della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso si apre con un orrendo Concilio di demoni evocati da un Diavolo che perde le connotazioni medioevali per avvicinarsi alla divinità greca di Plutone. Lucifero, combattivo più che mai, avverte i suoi proseliti di porre in campo tutti gli ostacoli possibili sul cammino dei Crociati per ritardare la caduta, ormai inevitabile, di Gerusalemme. Invita le sue milizie a seminare zizzania tra i nemici, anche utilizzando le lusinghe tentatrici della seduzione, proprio come farà la maga Armida, che non avrà scrupolo alcuno a irretire con i suoi artifizi i soldati Crociati.

Arriviamo nel Paradiso perduto di John Milton del 1667, dove lo scrittore affronta uno dei temi più antichi e più attuali della esistenza umana: la perdita del Paradiso, la perdita dell’Eden e la consapevolezza della perdita della felicità. Milton miscela sapientemente racconti biblici e classici; ed ecco che Satana, scagliato giù dal cielo con gli angeli ribelli, organizza con il demone Belzebù un piano per vendicarsi di Dio. Non potendo colpire il Cielo, Belzebù suggerisce di ferire Dio indirettamente, attaccando la sua più grande creazione: gli uomini, le creature predilette dal Signore.

Satana, sotto le sembianze di una serpe, giunge nell’Eden e convince Eva a mangiare un frutto dall’Albero della Conoscenza, inducendola al peccato che macchierà l’uomo per l’eternità. Adamo, per non abbandonare l’amata nella sua caduta dalla grazia divina, si nutre anch’egli del frutto. Dio condanna allora Adamo ed Eva alla sofferenza, mentre Satana dovrà strisciare sulla terra per l’eternità.

Per gli uomini esiste, però, pentimento e quindi redenzione e conforto. Il protagonista dell’opera è sicuramente il Diavolo, visto come un eroe ribelle in netta contrapposizione con Dio, e rappresenta tutte le caratteristiche che Milton ammirava: coraggio, orgoglio, eloquenza, ambizione. Non accetterà mai la supremazia di Dio; parafrasando William Blake: “Milton è dalla parte del Diavolo senza saperlo”.

Abbiamo ormai ben compreso che il Diavolo è fra gli archetipi narrativi più conosciuti; basti pensare a Mefistofele e al patto che con lui stipula George Faust. “Sono una parte di quella forza che desidera eternamente il male e opera eternamente il bene.” Mefistofele, il Diavolo che ispira due grandi capolavori quali il Faust di Johann Wolfang von Goethe e La tragica storia del dottor Faust di Christopher Marlowe, è portatore di una tentazione sicuramente non comune, quella della conoscenza.

Una tentazione davvero peculiare poiché la conoscenza non è affatto un male, ma lo diventa nel momento in cui viene “acquistata” attraverso percorsi non umani. In questo senso anche la conoscenza diventa male, diventa una sfida a Dio, un peccato di hybris che porterà inevitabilmente Faust a perdere la propria anima (nel Faust di Marlowe) mentre dalla penna di Goethe la salvezza è possibile attraverso l’amore, il grande amore che ha Margherita per il suo Faust.

Il Diavolo secondo Oscar Wilde e Michail Bulgakov

Oscar Wilde dipinge attraverso Il ritratto di Dorian Gray la dissolutezza, l’amoralità e i vizi che rendono l’uomo il contenitore perfetto per il male e la corruzione. L’anima di Dorian viene intrappolata nella tela dipinta dall’amico Basil, perdutamente innamorato di lui. Mentre Dorian si lascerà andare a ogni genere di perdizione e depravazione, sarà il suo ritratto che avvizzirà e invecchierà al posto suo. Il patto per l’eterna giovinezza durerà fino al giorno in cui Basil scoprirà il segreto del ritratto e Dorian, in un impeto d’ira ucciderà l’amico e deciderà poi di distruggere il ritratto, nel compiere questo gesto, il quadro ritornerà alla sua bellezza e l’uomo avrà l’aspetto orripilante cagionato da tutte le sue ignobili azioni. Sarà giorni dopo ritrovato cadavere, vecchio e avvizzito come la sua anima, persa per sempre.

Margherita e Woland. Dipinto di Julia Vitalievna Dolgorukova condivisa via Wikipedia con licenza CC BY-SA 3.0

Totalmente fuori tradizione è la diabolica figura di Woland, protagonista ne Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Nel romanzo sovietico il Diavolo assolve alla funzione di scompaginare le certezze sulla base delle quali si fondava la società comunista eretta nell’URSS. La società degli uguali e dei burocrati è travolta da eventi insoliti e fantastici, le gerarchie vengono sobillate, e al posto di una società ordinata si assiste attoniti a voli di streghe e sabba infernali. Nella visione di Bulgakov, il Diavolo più che incarnare il male sembra vestire i panni del daimon greco, ossia una forza naturale che finisce sempre per prendere il sopravvento. Woland, infatti, innesca una serie di storie che sono colonna fondante dell’opera e dà vita a un mondo fatto di gatti neri parlanti, di furbi servitori, di improbabili sicari e di donne disposte a diventare streghe per salvare l’anima dell’amato.

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Cosa ci resta da dire allora sulla letteratura del Diavolo? Che a questa parola associamo sempre il concetto di azione, nel senso che il Diavolo, per così dire nel bene e nel male, non dorme mai e dunque è una forza sicuramente distruttiva ma che, nel grande disegno dell’universo, pare avere lo scopo di metterci davanti ad uno specchio attraverso cui impariamo a conoscere i nostri vizi e le nostre infinite contraddizioni. Si chiama libero arbitrio, e forse è proprio facendo i conti col Diavolo che impariamo ad affrontare il nostro lato oscuro.

Miniatura medievale di Papa Silvestro II con Satana (1460 ca.) di pubblico dominio condivisa via Wikipedia

Emanuela Stella