Recensioni: “Ferrovie del Messico” di Gian Marco Griffi

La scrittura avvolgente e la fluidità di linguaggio contraddistinguono Ferrovie del Messico, il romanzo mondo di Gian Marco Griffi. Una storia di storie che si intrecciano in una unica monumentale architettura, un caso letterario destinato a fare parlare di sé ancora molto a lungo.

“Conosci la dicitura scolpita nel travertino sulle quattro testate del Palazzo della civiltà italiana a Roma? C’è scritto che voi sareste un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori, di trasmigratori. Cosa resta di quei poeti, artisti, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori? Te lo dico io cosa: niente. Soltanto polvere.”

Asti, 1944. Comando della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria. L’Italia senza re e punti di riferimento è spaccata a metà: al Centronord vige la Repubblica di Salò, sotto il controllo dei tedeschi, al Sud un governo filoamericano, insediatosi senza avere avuto bisogno di sparare nemmeno un colpo.

È in questo contesto d’assoluta incertezza che un giorno il soldato della Ferroviaria Cesco Magetti, non tanto disorientato dalla babilonia che è divenuto il Paese dopo l’armistizio di Cassibile, ma angustiato da un insopportabile mal di denti che, per giunta, non può curare, ché il suo dentista è stato arrestato e non si fida dei “macellai squilibrati” che assai volentieri gli caccerebbero le mani in bocca, riceve un incarico oltremodo bislacco.

Un ordine assurdo che giunge dall’alto

Il protagonista di Ferrovie del Messico – pubblicato da Laurana Editore – deve realizzare, e pure celermente, una mappa dettagliata delle ferrovie messicane, appunto. Annotazioni tecniche della rete, scartamento in uso, tipo di locomotive, indicarne le stazioni e le tratte più rilevanti; un lavoro assai delicato considerata la responsabilità che ogni cartografo assume nei confronti dell’utilizzatore finale; nel suo caso un incarico al limite del possibile giacché Magetti in Messico non ci è mai stato e la nazione centramericana sa appena collocarla, vagamente, su un planisfero.

Il singolare ordine, però, è arrivato dall’alto, molto in alto; inizialmente non si sa neppure se da gerarchi salodiani oppure berlinesi, ma sempre di ordine si tratta e gli ordini superiori, si sa, non si discutono. Questo è il compito che è chiamato a espletare il militare, mentre il suo Paese è travolto dalla guerra civile, mentre ci si ammazza tra fratelli per decidere quale sarà l’italiano che rinascerà dalla cenere, chi, da domani, avrà la possibilità di dare un ordine e raccontare ai posteri questa storiaccia scombinata dal titolo Seconda guerra mondiale.

Il colpo di fulmine per Tilde

Combattendo più che altro contro il suo mal di denti e consumando pacchi di Idrolitina Gazzoni, Cesco Magetti si ritrova così nella Biblioteca civica di Asti dove viene fulminato dalla bibliotecaria Tilde, figlia di uno dei più preminenti benefattori della provincia.

Gli occhi verdi di Tilde gli ricordano i boschi della Turingia che il povero Cesco non sa come sono, ché mica, pure là, ci è mai stato e nemmanco sa se in Turingia ci siano dei boschi, ma quel vagheggiato spazio silvestre lo immagina così, come gli occhi del suo nuovo amore. E l’amore, d’altra parte, è inconsapevolezza, nevvero?

Amore e inconsapevolezza: l’amore che trasforma il nome di Tilde nell’omonimo segno grafico che al soldato innamorato ricorda “un pesce che guizza nei torrenti di montagna”, “la coda di un puledro lanciato al galoppo”, “una scalata e una discesa e poi ancora una scalata”, “la metà dell’infinito”; l’inconsapevolezza, oppure fantasticheria, come quella di scappare con Tilde su un treno messicano, uno di quei bruchi di ferro che percorrono a tutta velocità la mappa che dovrebbe cominciare a sbozzare, ché lassù, molto lassù, la attendono con trepidazione.

Con Tilde, Cesco principierà la ricerca di un libro considerato determinante nella realizzazione della mappa ferroviaria: Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México di Gustavo Adolfo Baz. Una ricerca che condurrà Magetti e tutti i lettori a conoscere personaggi fuori dall’ordinario, per nulla secondari nel romanzo mondo di Gian Marco Griffi.

Gli indimenticabili protagonisti di Ferrovie del Messico

Un cartografo samoano nelle cui cartine, oltre alle colline, ai monti, ai fiumi, alle strade, compaiono pure le persone, il sagittabondo Adolf Hitler ed Eva Braun, alle prese con forestierismi, obblighi e penitenze, Bardolf Graf, fanatico religioso dal dubbio schieramento – già cattolico, ebreo, ateo, testimone di Geova – e amante d’ogni cosa, materiale e immateriale, un vizioso bibliofilo, sociofobico ma schiavo dei doveri dell’accoglienza, possessore di testi rari e – per dirne soltanto una – di ben trentacinque bibbie antiche, una vecchia fattucchiera sarda che si fa pagare in fiori freschi, frutta, verdura, sigarette e soprattutto cioccolata, ma col dono inutile di guarire solamente gente malvagia.

Indimenticabile, poi, Angelito Zanon, guardiano del cimitero di San Rocco, personaggio potentissimo che seppellisce, disseppellisce e bolle cadaveri e scheletri per conto degli odiati tedeschi, che vorrebbe ammazzarsi quanto prima ma ancora non ha raggiunto quello sconfinato amore di sé per poterlo fare senza remore; un uomo incattivito dotato di una arroganza smodata, quel tipo d’arroganza artificiosa che tradisce il disagio di vivere.

Memorabile inoltre Edmondo Bo, poeta frenatore avanguardista, ma soprattutto oppiomane che vive da eremita nella sagrestia di una chiesa sconsacrata, appassionato di poeti purché suicidi, ché per lui i poeti si dividono in morti suicidi e morti per altre ragioni. Anzi, questi ultimi non li considera neppure poeti, sicché “i poeti, per essere considerati tali, devono essere morti suicidi […] Quelli che si sono lanciati da una rupe, da un palazzo, da un ponte, dalla tolda di una nave sono i poeti perfetti”.

Un romanzo fra amore e guerra

Lungo le oltre ottocento pagine del romanzo si incontrano storie di donne e uomini divorati dal mostro della guerra, vicende propedeutiche a un epilogo doloroso e poetico al contempo. Perché se il pluripremiato libro di Griffi – Premio Libro dell’anno di Fahrenheit, Premio Mastercard Letteratura, Premio Mario La Cava, nella dozzina del Premio Strega 2023 – si presenta come “un labirinto ingarbugliatissimo come la parola ingarbugliatissimo”, è proprio in questo dedalo aggrovigliato che si nasconde la poesia di Ferrovie del Messico, nelle sue svolte a sinistra, poi a sinistra e poi ancora a sinistra – che pare così di essere tornati al punto di partenza, di non essersi mai mossi –, nei diversi registri adoperati, anche nelle differenti sfumature di una lingua fluida, ora meravigliosamente letteraria, ora ibrida, alla Anthony Burgess in Arancia meccanica.

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Un libro che contiene tutto

Un romanzo d’avventura, di sventura, un romanzo antimilitarista, fantastico – in duplice accezione –, un romanzo anche geografico, “un libro che contiene tutto”, come sostiene Marco Drago nella postfazione. Gian Marco Griffi è autore di un’opera dotta, dal grande spessore letterario, destinata a restare, un’opera sul grottesco dei regimi, che dissacra il mondo militare e tutta la farsa sul quale si regge, che smaschera tutto il lato ridicolo delle guerre. E, sicuramente, Ferrovie del Messico è pure di più di quanto non si riesca a dire da noi contemporanei.

Antonio Pagliuso