Museo Archeologico di Medma

Al Museo archeologico di Medma di Rosarno sono esposti i reperti di epoca magnogreca – coppe, terracotte votive, anfore, crateri, monete – ritrovati nel corso degli scavi eseguiti nel Novecento da Paolo Orsi, padre dell’archeologia di Calabria, e Salvatore Settis.

Dinanzi all’esteso uliveto che costituisce il Parco archeologico dell’antica Medma, è situato il Museo archeologico di Medma, il luogo della cultura che espone gran parte dei reperti rinvenuti nel corso degli scavi archeologici del Novecento e inizi del Duemila nell’area della Piana di Rosarno.

Breve storia di Medma

La città magnogreca di Medma o Mesma (Μέδμα, Μέσμα) fu fondata dai coloni della polis ionica di Locri Epizefiri attorno alla fine del VII secolo a.C. Lo scopo era quello di ottenere uno sbocco commerciale sul Tirreno. Staccatasi dall’orbita della madrepatria fra il VI e il IV secolo a.C., la subcolonia di Medma si avvicinò a Crotone – rivale dei locresi – subendo, infine, la distruzione di gran parte del centro e la deportazione della sua gente a Messina sotto l’ordine dell’alleato siracusano Dionisio I il Vecchio.

Medma fu abbandonata definitivamente al termine della Seconda guerra punica tra Roma e Cartagine (fine III sec. a.C.) con i medmei che, secondo alcune fonti, si trasferirono poco più a nord, in prossimità del Monte Poro, gettando le basi dell’odierna Nicotera, in seguito completata dai romani, nuovi dominatori del Mediterraneo.

Lo spazio espositivo del Museo Archeologico di Medma

Cominciati già nell’Ottocento e proseguiti, con più criterio, nel secolo successivo grazie a Paolo Orsi prima, padre dell’archeologia di Calabria, e all’archeologo e accademico Salvatore Settis poi, gli scavi sulle tracce del sito magnogreco si sono concentrati sul pianoro di Pian delle Vigne restituendo un gran numero di reperti.

Monete di Syrakousai, Rhegion e Messana, coppe, anfore, crateri, arule (ossia dei piccoli altari in terracotta) lucerne, coltelli in ferro, terracotte votive, lekythoi (contenitori lunghi e stretti utilizzati per olii e unguenti); tutti beni culturali databili dalla fine del VI secolo al IV secolo a.C. e oggi conservati nel Museo di Rosarno di cui l’attuale responsabile è Fabrizio Sudano.

In particolare, tra le terracotte votive di produzione locale – rinvenute nelle favisse (fosse in cui venivano collocati gli ex voto) delle aree sacre di Sant’Anna e Calderazzo – spiccano i molteplici busti e teste femminili – eterogenee per quel che riguarda le acconciature tra le quali emerge quella, tipica magnogreca, a file sovrapposte di riccioli che Orsi battezzò “acconciatura a lumachelle” – e i cavallucci – probabile segno della devozione da parte dei fedeli medmei ad Atena, dea della sapienza e delle arti ma anche, tramite l’epiteto Hippia, protettrice dei cavalli.

Altri reperti provengono dalla collezione dell’archeologo Giovanni Gangemi (1933-2004), donata dai famigliari dello stesso – già ispettore alle antichità di Medma – alla sua scomparsa. Tra questi da evidenziare pregevoli ceramiche e vasi a figure nere e rosse.

A completare il percorso, inoltre, l’interessante spazio dedicato alla necropoli un tempo situata su un colle a sud dell’area urbana medmea di Pian delle Vigne con tombe a vasca e alla cappuccina e vari oggetti di corredo tra i quali hydriai (vasi generalmente utilizzati per il trasporto dell’acqua), anfore, monili e statuette.

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Itinerario magnogreco da Medma a Rhegion

Dal Museo archeologico di Medma di Rosarno, in conclusione, è possibile dare il via a un itinerario della civiltà magnogreca in Calabria. Le tappe del Museo archeologico Métauros di Gioia Tauro e del Parco archeologico dei Tauriani di Taureana di Palmi condurranno al capolinea di Reggio Calabria con le mura greche dell’antica Rhegion e il Museo archeologico nazionale della città sullo Stretto per rendere visita ai Bronzi di Riace, le maestose statue in bronzo di fattura greca – probabilmente peloponnesiaca –, risalenti al V secolo a.C., rinvenute, a otto metri di profondità, il 16 agosto 1972 nelle acque antistanti la costa di Riace.

Antonio Pagliuso